Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

rimozione costitutivi del simbolico. Qualora tale acqui­ sizione seconda non si realizzasse, la rimozione simbo­ lica si eserciterebbe attraverso il dialetto medesimo, che decadrebbe dal ruolo privilegiato di lingua pre-ori­ ginaria. In tal caso, come nella lingua vera e propria per chi non pratica diglossia, la lingua pre-originaria si confonderebbe con la Lingua, vivrebbe in simbiosi con essa. Sarebbe, cioè, assorbita dall'ordine del simbolico. A questo proposito si potrebbero istruttivamente citare, come esempi opposti di utilizzazione letteraria della _ doppia lingua, i due massimi casi di diglossià cui sono inerenti le due massime attuazioni poetiche della nostra letteratura: i casi, nientemeno, di Dante e dì Petrarca. Per Dante, la diglossia rappresentata da latino-lingua volgare viene di fatto neutralizzata a tutto beneficio del secondo termine del binomio. Il volgare, in Dante, non è solo la lingua «materna», ma passa sùbito a rappresentare altresì la lingua della norma, del signi­ ficato e del concetto. 'Lingua del «padre» e della rimo­ zione simbolica, il volgare è la lingua municipale e na­ zionale in cui si redigono sia il poema universale (la Commedia), sia la trattazione speculativa, teorica ma non scientifica (Convivio), sia il libro della '«esperienza interiore» (Vita Nuova). Per cui il latino viene a rive­ stire non più il ruolo della lingua della norma, della rimozione fondante (il ruolo della lingua del padre), bensì il ruolo della lingua neutra, scientifica, nella quale si redigono i « tractatus »: linguistici (De vulgari elo­ quentia), politici (Monarchia), cosmologici (Quaestio de aqua et terra). E' quindi sul secondo membro del bi­ nomio (e cioè sulla lingua volgare) che convergono, congiuntamente, le istanze contrarie rappresentate, da un lato, dal desiderio pre-edipico, libero e senza oggetto (lingua della madre) e, dall'altro lato, dal desiderio vie- 64

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