Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

ricamente marginale ed espressivamente aberrante, di cui il dialetto, ogni dialetto, oggi, dà testimonianza. In definitiva, dicono quella che è la vera, angosciosa diffi­ coltà del soggetto: la difficoltà della sua discesa alle madri. Di ciò fornisce prova il testo intitolato Filò, nel quale è reperibile non solo un'ulteriore posizione del soggetto nei riguardi dello strumento linguistico adibito, ma alitresì quella complessità dell'·esperimento che più indietro avevamo postulato come a parte objecti, vale a dire interna al testo. La lingua, qui, è proprio la lingua «materna» del locutore, la lingua originaria (pre-originaria) di cui ab­ biamo parlato e su cui insiste Zanzotto nella prosa fi­ nale, e cioè il dialetto di Pieve di Soligo, nel trevigiano, del quale è effettuata, forse per la prima volta, la tra­ sposizione scritta. Posizione, quindi, di appartenenza to­ tale della lingua al soggetto e del soggetto alla lingua, se è lì, nella modulazione sub-grammaticale o pre-gram­ maticale del « petd» che si elabora la transizione del soggetto alla realtà e se il «petèl» rappresenta appunto una sorta di matrice, di nucleo elementare e germina­ tivo del successivo parlare dialettale. La posizione pri­ vilegiata del dialetto rispetto alla lingua sarebbe assi­ curata e dalla conservazione, nello sviluppo del «siste­ ma », del carattere pre-grammaticale (modulatorio più che articolatorio) del nucleo germinativo rappresentato dal linguaggio «petèl », e dal carattere individuale che al parlare dialettale deriva da questa conservazione: il «petèl», infatti, è modulazione perennemente rinnova­ ta, nuova e particolare per ogni utente di esso (cfr. a p. 79: « novo petèl par ogni fi6l in fasse »). Naturalmente tutto questo vale dentro una prospet­ tiva di diglossia: e cioè di acquisizione, oltre al dia­ letto, di una seconda lingua, e precisamente della Lin­ gua, attraverso la quale si effettuerebbero i processi di 63

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