Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

Alcune esperienze dialettali di questi anni forniscono la misura della consapevolezza critica e dell'impegno mentale richiesti da operazioni del genere. Pensiamo, ad esempio, all'esperienza del Pasolini friulano, ove il dialetto appare sottoposto - criticamente, appunto - a un processo di distanziazione «sentimentale» che fi­ nisce per equipararlo a una lingua morta, da cui la pos­ sibilità di ricavarne effetti del genere decadente e squi­ sito, e, per ciò stesso, della più ostentata letterarietà 1 ; oppure all'esperienza su dialetto trevigiano di E. Calza­ vara, ove il dialetto risulta distanziato non più senti­ mentalmente ma «intellettualmente», al fine di evi­ denziarne le caratteristiche in quanto sistema lingui­ stico puro e operare su quelle: nella fattispecie, gli ele­ menti cosiddetti transitivi del linguaggio e le omonimie, da cui gli effetti di straordinario sperimentalismo for­ male che caratterizzano questa poesia 2 • Di questo tipo di assunzioni «critiche» del dialetto, partecipa ora un complesso esperimento attuato nel- 1'ambito della medesima area linguistica veneto-trevi­ giana; e cioè l'esperimento condotto da A. Zanzotto in Filò 3 • Di esso cercheremo di dar conto nella presente comunicazione. Diciamo intanto che, in questo caso, la coscienza del­ la astoricità, della marginalità, dell'inattualità del dia­ letto, viene non tanto indirizzata a sfruttarne la fi­ gura già accaduta, già «storica» - come succede nell'esperienza di Pasolini -, o la tipicità astratta, sin­ cronica, in quanto sistema linguistico - come accade nell'esperienza di Calzavara -, quanto invece asservita a sottolinearne la qualità, per così dire, di lingua ori­ ginaria o, meglio, pre-originaria, per cui il dialetto si configura, per l'auctor, come la lingua dell'oralità e delle pulsioni, anteriore alla metafora paterna e al gran­ de processo di simbolizzazione (di rimozione) che le è inerente e che dà nascita ad un altro linguaggio, o al oO

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