Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977
scorso scientifico, che reclama una interrogazione dì versa. Alla malattia psicosomatica lo psicologo deve il suo ingresso nella istituzione ospedaliera. Ma la dia gnosi medica che la riconosce e la esprime è possibile là dove la clinica si è aperta ad un discorso diverso, dove ha rinunciato alla esaustività del suo modello interpreta tivo ed alla unicità dei suoi metodi terapeutici. Non a caso, il problema psicologico si è posto in un reparto tra i più aperti e sensibili ai problemi del bambino ma lato. Una sezione scolastica interna permette ,ai degenti di lasciare per qualche ora il reparto per seguire le le zioni, gruppi di giovani volontari organizzano, nel po meriggio, il gioco dei bambini, in una sala appositamen te attrezz;ata; l'obbligo di restare a letto è ridotto al minimo, le visite dei genitori sono quanto più frequenti e prolungate, data l'esiguità degli spazi, il clima generale è tollerante e permissivo, sebbene tutto ciò renda molto più complesso il lavoro del personale. Sono proprio questi spazi di libertà, nei quali s'al lenta la presa della istituzione, nei quali viene meno il dominio della tutela, che permettono una espressione del bambino, del suo malessere, del suo desiderio, del suo corpo, di tutto ciò che, peraltro, disturba il discorso medico strettamente inteso, così come lo svolgimento della prassi istituzionale. Lo psicologo è chiamato nell'ospedale come colui che possiede una tecnica di controllo non istituzionale ed è quindi in grado di assumere l'istituzione come og getto, di alleviarne i contrasti, di denunciarne le opacità, di migliorare, insomma, il sistema di comunicazione. Ma non solo, il suo campo specifico, la psiche, è consi derata come « l'altra faccia della moneta», ciò che può completare la ricerca anamnestica, integrare la diagnosi, coadiuvare la terapia, evocando il bambino che la car tella clinica tende a sostituire sino alla cancellazione. Sempre nell'ambito di una medicina positivistica, in- 33
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