Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

pedagogico, di bambini affetti da disturbi psicosoma­ tici, i quali erano ricorsi a ripetuti ricoveri ospedalieri. In questa fase, la componente organica e quella psico­ logica della malattia venivano esaminate e seguite se­ paratamente; la collaborazione tra il centro psicologico e l'ospedale si limitava ad uno scambio di informazioni. La necessità di superare la frammentazione degli inter­ venti, la loro chiusura negli ambiti specialistici, nasce, soprattutto da parte dei pediatri, da una esigenza com­ plessa che investe il quadro concettuale, le modalità di intervento, il senso stesso della pratica medica, ormai insofferenti dei vincoli positivistici che pure li fondano e li legittimano. La domanda che lo psicologo operi dentro il reparto, in stretta e costante collaborazione con il pediatra, va intesa come una esigenza di ritrovare, dietro alla ma­ lattia, il bambino malato, come possibile referente di una diagnosi integrata •e di una terapia non parcellizzata. Foucault ci ha insegnato 2 come la clinica, di cui la pediatria non è che un settore, venga costituendo con­ temporaneamente il suo metodo ed H suo oggetto. Il metodo, « uno sguardo eloquente», si basa sulla corre­ lazione tra il visibile e l'enunciabile, sulla traducibilità in discorso, cioè in un sistema di segni, del sintomo come apparenza della malattia. Ora, la distanza tra lo sguardo e il sintomo è divenuta incolmabile per l'introduzione, in questo spazio ancora relazionale, della strumentazione diagnostica. La dia­ gnosi come momento di sintesi, procede sul materiale fornitole dalle analisi di laboratorio (analisi del sangue, delle urine, della funzionalità epatica, della saliva, del sudore). A sua volta, ciascuna analisi opera su di un reperto che costituisce il suo oggetto specifico, un re­ perto parziale che si deve però presumere come porta­ tore di un significato più vasto, come indicatore di una situazione generale. Il modello concettuale che autorizza 29

RkJQdWJsaXNoZXIy