Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

alla piazza del paese, con una lettera in mano. A diffe­ renza del ragazzo selvaggio di Truffaut, Kaspar non è pieno di buoni sentimenti ma vuoto, i suoi occhi roteano registrando il circostante come l'-«occhio» cosiddetto della macchina da presa e il suo linguaggio è quello biz­ zarro che non ha la sua determinazione nella lalangue, la lingua materna. Ma alla fine Kaspar muore «sod­ disfatto». La soddisfazione è quella che Freud cita co­ me modello dell'autoerotismo, la bocca che bacia se stessa. E' a sé che Kaspar racconta ora la favola con cui per tanto tempo ha cercato di se faire entendre, venendo sempre interrotto. Dagli astanti che fanno cer­ chio intorno al suo letto, la favola viene finalmente ascoltata per intero, visto che tutti gli abitanti del vil­ laggio aspettano appunto la sua fine per sezionare il cervello che contiene l'«enigma» della storia. Il sonoro si eclissa nelle ultime immagini da film muto, gli scien­ ziati studiano la «causa», mentre il cancelliere annota il reale nella puntualità della ripetizione. Ingenuità del­ lo spettatore '«organico», la stessa ingenuità con cui Freud aveva creduto in un primo tempo alla realtà delle seduzioni infantili, con cui una certa psicoanalisi parla del «passato», la psicologia spiega il presente, l'ecologia parla di futuro, e la linguistica si dimentica qualche volta che la lingua è un oggetto, d'amore, perduto, e che solo per questo si può parlare. Virginia Pinzi Ghisi 1 Jaufre Rudel, « Pro ai del chan ensenhadors ». 2 Jacques Lacan, Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, Seuil, Paris 1973, pag. 163. 3 J. Lacan, cit., pag. 164. • J. Lacan, cit., pag. 171. 5 Cfr. mia relazione al convegno « Psicoanalisi, linguistica, economia, sulla transizione», maggio 1977, a proposito di Marx e il « romanzo familiare dei nevrotici». 118

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