Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977

con gli inseguimenti sull'autostrada, poi con i viaggi lungo le province (« Alice dans les villes» ma Alice non abita più qui), poi con terminabili silenzi e indagini tra gli oggetti. Il codice cerca di cavarsela strizzando un occhio, ma l'altro, che resta innaturalmente spalancato, è un occhio di vetro. La macchina da presa, frugando o sorvolando, non fa che riflettere la superficie di un coperchio. Finché il disagio cresce e ricordiamo che la tristezza nostalgica di Calvera girava intorno a una frase: Una rosa è una rosa è una rosa. « Hai perso la lingua?», vuol dire molte cose. Che la cavità orale resta vuota, che la lingua deve essere da qualche parte, in tasca, in tram, nel portaombrelli dell'analista, che il ,silenzio è d'oro, che posso andare a cercarla in Linguadoca, e che forse lì c'è qualche spe­ ranza che la questione abbia una risposta. Perdere la lingua è appunto come lasciare la madre-patria. L'esilio è triste, ma in vacanza può succedere qualcosa. Contro «Novecento» che è una storia organica del­ la lingua, così come si tramanda di generazione in ge­ nerazione, vorrei porre il «Casanova» di Fellini, la sua fissità, le discordanze tra le sue parole e il suo sguardo, il meccanismo di un piacere in cui a ben vedere l'organo genitale maschile è sempre almeno trenta centimetri più in alto dell'organo genitale femminile. L'antipatia ha giocato Fellini (è per questa via che il materialismo di solito trionfa sull'anima cattolica, quando si incrina la strategia della simpatia universale) e il suo film, che ci conferma che non c'è rapporto sessuale, è il paradosso che se il se faire voir non è fatto per se faire entendre, e i due girano indipendenti, l'oggetto della mostra affon­ da o manca il bersaglio anche perché, in parallelo, Ca­ sanova ha scritto un romanzo che, ahimè, nessuno leg­ gerà. Il sonoro non completa il muto, come il maschile « non completa » il femminile, e la generazione stessa è 116

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