Il piccolo Hans - IV - n. 15 - luglio-settembre 1977
risponde semplicemente a una possibilità che si trova a portata di mano; poniamo a una apparecchiatura chi rurgica o alla somministrazione di antibiotici {e anche in questi casi bisognerebbe sapere quali siano i risultati nel futuro), vi è, al di fuori del campo di ciò che è mo dificato dai benefici terapeutici, qualcosa che resta co stante e ogni medico sa bene di che cosa si tratti. Quando il malato è inviato dal medico o quando lo avvicina, non ditemi che si aspetta semplicemen te la guarigione. Egli sfida il medico a farlo usci re dalla sua condizione di malato, cosa del tutto dif ferente, poiché può implicare che ,sia in realtà attac cato all'idea di conservarla. Talvolta viene a doman darci di autenticarlo come malato; in molti altri ca si, viene, nel modo più manifesto, a domandare di mantenerlo nella sua malattia, di trattarlo nella ma niera che più gli si confà, quella che gli permetterà di continuare a essere un malato ben impiantato nella sua malattia. Non ho certo bisogno di ricordare qui una mia esperienza recentissima: uno straordinario stato di depressione ansiosa permanente che durava già da più di vent'anni. Il malato veniva da me nel terrore che facessi la minima cosa. Alla sola proposta di rivedermi 48 ore più tardi, la madre terribile che nel frattempo se ne stava nella sala d'attesa, era già riuscita a di sporre le cose in modo che non se ne facesse niente. Questa è banale esperienza: la rievoco solo per ri cordarvi la significazione della domanda, che è la di mensione in cui si esercita, propriamente parlando, la funzione medica, e per introdurre qualcosa che sembra facile da trattare ma che non è stata seriamente inter rogata che nella mia scuola, e cioè la struttura della faglia che esiste fra la domanda e il desiderio. Appena si è fatta questa osservazione risulta che non è necessario essere psicoanalista, e neanche medico, per sapere che quando chiunque, anche il nostro migliore 10
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