Il piccolo Hans - anno IV - n. 14 - aprile-giugno 1977

nella citazione del passato: per lui il passato è ancora, umanisticamente, un linguaggio da parlare. A questo, se non altro, la memoria serve; è una macchina che investi­ ta dell'angoscia, e del vuoto, rimanda echi, restituisce immagini. Assicura almeno un rapporto alla lingua; con­ sente, al minimo, di impadronirsi di un ricordo. Il deli­ rio è, perlomeno, delirio «colto». Penso allora una differenza. La mia vita, per quanto inagarbugliata, come ingarbugliata è la passeggiata di Stephen Dedalus lungo il mare del novecento, forma un tutt'uno coerente, che rivela una tendenza precisa, e un senso, la direzione di un cammino. Come un romanzo restaurativo. Malgrado la oomplicata difficile irelazione alla propria vita - il proprio corpo -, come a Stephen anche a me appare , la tendenza ohe l'organizza. La forza è nel profondo, è oscura e lenta; è ' una presenza, a volte parie un ingombro, che muove (come avere un animale rinchiuso dentro la prigione del proprio corpo) i suoi organi, e muove i miei, e convoca a raccolta la mia volontà, e le mie facoltà: tutto si svolge con perfetta necessità, in modo irrevocabile. In questa oggettiva rela­ zione di obbedienza e armonia, anche nella disarmonia, parla una enorme speranza: una solidarietà nella « gran­ de» catena dell'essere». Non ho mai pensato che non ci fosse posto nella vita per la mia vita. Il meccanismo sociale non mi ha ·segnato con la coscienza dell'esclusio­ ne, e del rifiuto. Sono nata preparata da quanto fino allora era accaduto; e non c'è! distanza - perché il tem­ po non è cronologia - tra me e quello che del passato io scelga, per raccontarmi. Il linguaggio di Saffo (o di Telemaco, per Stephen), o qualùnque altra parola sedi­ menta nella mia esistenza, e le dà spessore, e appartenen­ za, e filiazione. La tradizione, il passato, sono Io specchio dove specchiare il mio corpo di neo-nato, e dare di esso fondamento. Nella relazione al passato ho fondato il mio 157

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