Il piccolo Hans - anno IV - n. 13 - gennaio-marzo 1977

Tuttavia, questa differenza esplicita, che deriva qui ancora come altrove dalla moralità, non fa che occultare la confusione fondamentale: e infatti nessuno pensa di definire «schiava» questa categoria di «produttrici», se il termine di schiava esprime se non l'offerta almeno la disponibilità a una domanda, soggiacente a _ quella di bisognj. limitati. Isolata dall'oggetto vivente che ne è la fonte, diventata «fattore di produzione», l'emozione si trova dispersa sotto molteplici oggetti fabbricati i quali, con i bisogni limitati che- definiscono fanno deviare la domanda impronunciabile: ed è così che viene resa de­ risoria riguardo a tutta la «serietà» delle condizioni di lavoro. In tal modo, la schìava industriale non è di­ versamente disponibile da qualsiasi altra manodopera, perché lungi dal costituirsi quale segno, quale moneta, deve dipendere «onestamente» dalla moneta inerte. E il termine di schiava è propriamente eccessivo, fuori luogo, ingiurioso, dal momento che essa è libera di aocet­ tare o no il suo salario. La dignità umana èJ salva e il denaro conserva tutto il suo valore. E cioè, la possibi­ le scelta che la funzione astratta del denaro contante implica fa sì che nessuna - valutazione attenti all'integrità della persona, per il fatto che si esercita sul rendimento delle sue capacità produttive, così da concernere ih modo «imparziale» e da assicurare soltanto la neutralità de­ gli oggetti. Ma è un circolo vizioso: l'integrità della per­ sona, infatti, dal punto di vista industriale, esiste asso­ lutamente solo in e per il rendimento valutabile in quan­ to moneta. Da quando la presenza corporea della schiava indu­ striale rientra nel modo più assoluto nella composizione del rendimento valutabile di ciò che può produrre (poi­ ché la sua fisionomia è inseparabile dal suo lavoro), la distìnzione . fra la persona e l'attività che svolge è spe­ ciosa. La presenza corporea è già merce, indipendente- 94

RkJQdWJsaXNoZXIy