Il piccolo Hans - anno III - n.10 - aprile-giugno 1976

parlar chiaro e, sempreché non ci si illuda di costruire il socialismo sulle obliterazioni e sulle menzogne, di mettere lealmente sul banco «la vérité, l'apre vérité». Sebbene si provi disagio a confessarlo, dobbiamo riconosoere, cioè, che lo snaturamento «economicistico» (nel senso dato da Althusser e Bettelheim a questa pa­ ro1a) non è soltanto urra forma di recrudescenza o di «rivincita postuma» della II Internazionale riflessa nella deviazione staHniana 3 , ma è scritto a grandi caratteri sulla fronte stessa di Lenin 4 e che, di conseguenza, quell'« .effettiva critica alle ambiguità del leninismo» di cui parla Melandri 5 non è più «prematura». Chi non chiuda farisaicamente gli occhi non può non vedere, infatti, che, ad onta del suo prodigioso genio politico-demiurgico e dei suoi (istintivi) entusiasmi ri­ voluzionari 6 , Lenin nòn riesce mai a recidere funditus et munde il cordone ombelicale che lo tiene saldamente legato al grembo ideologico secondinternazionalistico 7 e non è, quindi, mai del tutto immune da ipoteche fata­ listiche o da simpatie oggettivistiche per una dittatura (teorica e pratica) delle «forze produttive» (=F1P). (Per dirla in breve, come summa summarum, Lenin è indubbiamente «rivoluzionario»; in qualche angolo, come sua «specialità», rimane invece «un revisionista»... ). Anche se lo spazio non ci consente di andare the whole hog (ossia, «fino in fondo»), non possiamo dun­ que sottrarci in alcun modo all'esigenza di documentare fino a qual segno - e con quanto zelo - Lenin 1si appli­ chi sistematicamente a «cuocere» il marxismo nelle «pentole» screpolate della Necessità e del culto feti­ cistico delle FP. «Parliamone pure, o molto saggi, anche se è dolo­ roso. Peggio sarebbe tacere: tutte le verità taciute di­ ventano infatti velenose» 8 • 30

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