Il piccolo Hans - anno III - n.10 - aprile-giugno 1976

diretto. Non abbiamo il gusto di , affrontare 1e cose di petto. A dire ·le cose in modo indiretto, ma a dirle. E' quel che il c I Dema cosiddetto commer c iale americano ha fatto - secondo l'analisi di Michel Wood -. E forse non soltanto per caso, per fortuna, perché "l'eterogenesi dei fini ha voluto realizzarsi in rerra nella zona di Los Angele.s, California, o pevché bisognava schivare il cen­ sore. Certo per tutto questo, e già è interessante vedere come il cinema hollywoodiano si presenti come sintomo, pregnante ed espressivo di una conflittualità di fondo. E come tale si voglia far leggere. Ma ancora non basta. Perché è il cinema americano ad entrar-e in comun,ica­ zione con questa conflittualità di fondo? E perché non ci riesce, - non sempre, non altrettanto - la ,lettera­ tura? Proprio per via del mercato. Costretto contin.ua ­ mente a tener conto del pubblico, del mercato, della cassetta (in americano: «box-office»), questo cinema deve sempre trattenere in mano tutti e due i corni del dilemma: l'evasione e l'impegno; il fas c ino del danaro e la da!Ilnazione del danaro; la sottomissione della donna e la ribellione della donna. La letteratura ha il permesso di essere nobilissima, di occuparsi solo di un capo del di·lemma, di impegnarsi solo a descrivere la dannazione del mondo mercificato, perché non sta nel mevcato. O meglio, sta in un ahro tipo di mercato. Dove i libri si v,endono a pochi lettori, invece che a milioni: di spettatori; dove non si diventa famosi, né « glamorosi» come le stelle di Hollywood. Ma di un mercato deve pur sempre trattarsi. Innanzi­ tutto nel senso che c'è anc;he qui · un datore di lavoro, lo Stato, i1 l New Deal, Frankl:ùn Delano Roosevelt che - è questa la novità degli anni trenta - si occupa per­ fino degli scrittori (sono disoccupati anche loro) va­ rando programm di « lavori pubblici in letteratura» come H « Federal Writers Project». In fondo è ancora 209

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