Il piccolo Hans - anno III - n.10 - aprile-giugno 1976

soggetto che faceva del rito delle lettere il proprio de­ coro e inaugurava quel tipo di .- « scrittura borghese » che fino aUe avanguardie avrebbe costiitu:ito H sistema deLla lettera:tuTa, , la « prosa del mondo » nella società del merca:to. I copisti del 1 400 consegnavano spesso il proprio nome nell' explicit del codice. Se l'incipit era il passaggio alla vita del testo come testo, l' explicit era il passaggio alla vita del testo come storia, era il suo ingresso nel sistema della cultura. In questo passaggio il ,segno del copista nominava la propria fatica, tornava a riappropriarsi di essa: il rito delle lettere esigeva questa denominazione e questa appropriazione. Il copista si prendeva la sua parte di dignità dacché l'ordinamento della corte attorno al signore e al principe doveva compensare con ruoli e nomi e riconoscimenti l'eclisse del riconoscimento e la pratica della subordinazione che la ,società del mercato stava a larghi passi promuovendo. Il suggellare col pro­ prio nome la fatica era l'estremo gesto illusorio di difesa dalla mercificazione. Per questo spesso nella subscriptio appaiono, con malcelata esibizione, i segni esterni d'una fatica soggettiva, consapevole d'essere subordinata al Testo e de$tinata al Principe; ma la ritualizzazione del lavoro, la sua spiritualizzazione è il solo atto d'accusa nei confronti della condanna all'oblio segnata sulla mano del copista. La subscriptio cerca un equilibrio tra la dipendenza rituale nei confronti del testo, della sua trasmissione, e la solennizzazione della fatica amanuense, nobilitata in questo rapporto col « classico » e in questa prestazione al Sistema del Testo, in particolare alla ,sua sopravvi­ venza. La puntualità della data, e l'indicazione dell'ora, sono gli spiragli che fanno riandare a questo tentativo estremo di spiritualizzare la fatica. E se l'ora è notturna, il rito ha il sapore d'una liturgia elitaria, cui pochissimi dotti sono ammessi, e rinvia all'alone di sacralità ma:gica 16