Il piccolo Hans - anno III - n. 9 - gennaio-marzo 1976

posti cioè «per una sorta di accordo transitorio», e a rivedere l'assetto di quelli invalicabili, posti cioè dal suo stesso oggetto, e chiamati «naturali». Ed ora è chiaro che questi successivi assestamenti del · potere e del dominio, eseguiti nella persuasione del rigore del metodo, riproducono anche la fondazione della scienza, rappresentano un lavoro di chiarificazione e definizione continua in quest'ambito: di qui anche l'impegno e il contributo, a consolidare il dominio, che il Trattato esprime con tanta determinazione. Appartiene comunque alla virtualità di questa scienza uno statuto totalitario: «l'intera cultura deve essere studiata come fenomeno semiotico» (p. 36). Questo sta­ tuto, ribadito in formule «estreme» - «la cultura è solo comunicazione», «la cultura non è altro che un sistema di significazioni strutturate» -, - svolge, ma [lOil attenua, il suo radicalismo in un'accorta distinzione me­ todologica, anch'essa ribadita: «Mirare alla cultura nella sua globalità sub specie semiotica non vuole ancora dire che la cultura tutta sia solo comunicazione e significa­ zione, ma vuole dire che la cultura nel suo complesso può essere capita meglio se la si abborda da un punto di viista semiotico» (p. 42). Quello che si concede è molto: ma o si lascia per una pleonastica definizione di cultura o è assegnato al ·silenzio. Perché il punto non è se la cultura possa compiutamente definirsi come comunicazione e significazione, ma se questa scienza possa comprenderla e spiegarla come tale. La sottile petizione di principio può essere sondata press'a poco in questo modo: comunicazione e significazione sono ciò che predica la semiotica nella forma e nel senso che qui la istituiscono e l'attrezzano (e questo è da dimo­ strare), ma la cultura si comprende e spiega meglio come comunicazione e significazione (e questo è pacifico), dunque la semiotica, questa semiotica, è la migliore delle spiegazioni possibili della cultura (e questo è nella 51

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