Il piccolo Hans - anno III - n. 9 - gennaio-marzo 1976
infinita, non può essere che frammentaria. Ed è per questo che l'impossibile ç'attiene al veale. Fissato il limite (la frammentarietà del muro), ho pensato che a:llOra si potrebbe andare a curiosare oltre e che per farlo vi sono 4 possibilità: contornarlo, scavalca:rilo, scavare una ga1leria sotterranea, sfondarlo. Ho scelto, per oggi, quest'ultima possi:biilità, la quale mi è stata suggerita (come ho già detto) da un incontro tra uno sguardo e una voce. Uno sguardo al taglio fatto nello spessore del muro «per consentire e no» il passaggio. Una porta. In questo modo, ,Il muro del linguaggio diventa i,l muro comPorta del linguaggio, una porta che si apre a un testo che .si apre con una por _ ta... Parlo quindi di una porta. Di ciò che l'architetto originariamente desi gn a come «entrata o ingresso, aper tura praticata nello spessore dei muri per consentire il passaggio, ma anche serramento predisposto alla chiu sura del vano pari!etale». Ma ciò che l'architetto desi gna non è ciò che il desiderio architetta. Noi parliamo di ciò che l'architetto usa chiamare «apertura o chiu sura al passaggio», ma parliamo anche di qualcosa d'in quietante, altra, qualcosa che si pone come traguardo, tranello, limite da superare o interdetto. Divisione figu rale nel già diviso, la porta delinea il privato e segna provocatoriamente i confini di una estensione. Misura. Per il soggetto «misurato e misuratore» gli spazi sono «luoghi d'incontro rigorosamente determinati» e si aggiunga questo dettaglio notato ·da Blanchot, «che dal finito si può .sempre sperare di uscire, mentre la vastità infinita è prigione, per-ché senza uscita». «Det taglio»... Andare «avanti», errare sempre «per saperne di _ più», per sapere «cosa» si nasconde didietro, davanti alla porta. Un limite che si pone come un fine necessario per contraddire la fine. Un trucco «da niente», poi- 175
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