Il piccolo Hans - anno III - n. 9 - gennaio-marzo 1976

della possibilità di un rapporto del veder tutto al non veder niente, dell'apparente sovrnccarico all'apparente scomparsa, qualcosa viene qui richiesto di una finezza di intelligibilità deHa pernezione che senza essere esclu­ siva fa dim e nsione culturnle. C'è molto da dire di questo tipo ·di rapporto alla cultura ma cos'altro ho fatto fin dall'inizio di questo testo? Per il ' resto, ,che è beninteso l'essenziale. bisogna prendere in considerazione l'obbiet­ tivo partioolare di ognuno di questi artisti. Se come lo suppongo, appare oggi, nel campo delle pratiche pitto­ riche, in modo insistente, la questione della messa in opera del superbo abbagliamento dei colori, alcune delle opere che ne sono responsabili hanno allora da dirci infinitamente di più che H banale schema didattico che qui propongo. Rip:rendendo la questione delle «cause particolari» della «bellezza» e dell'«amore», ,spoglian­ dosi di ogni fenomeno superfluo, non ci evocano forse nello stesso tempo «i segni inintelleggibili» che Georges Bataille scopre a Lascaux, non tengono forse anch'esse a loro modo il discorso ·dell'«eroe» di Madame Bdwarda:. «Se nessuno riduce alla nudità ciò che dico spogliandolo del vsestito e della forma, scrivo invano. (Comunque, lo so già, il mio sforzo è ,disperato: il lampo che mi abba­ glia - che mi folgora - certo non aivrà accecato che i miei occhi.)». Marcelin Pleynet · 1 Bisogna insistere su questo punto, se non si vuole ritro­ vare la metafisica proprio là dove si pensava appunto di averla abbandonata: ciò che fa somma non si abborda che nella virtua­ lità infinite del suo trattamento. iLa messa in evidenza del bianco sempre ad ogni modo già condizionato da ciò che lo circonda, del bianco come colore, insiste in fondo, sull'apertura della messa in gioco, della «atomizzazione», della polverizzazione della que­ stione; insiste _mettendo in contraddizione l'ordine dei fenomeni 169

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