Il piccolo Hans - anno II - n. 8 - ott.-dic. 1975

porta in molti casi (inspiegabilmente negletti da Solovev) « un più rapido logorio del capitale fisso» o « un au­ mento del capitale costante rispetto al capitale variabile e quindi una caduta del saggio del profitto» 17, « questo comprimere una massa maggiore di lavoro entro un dato periodo di tempo conta per quello che è, cioè per una maggiore quantità di lavoro» (ergo: per una ma\Slsa di valore maggiore) 18• Chi, dunque, se non un agente del modo cap�talistico di produzione - all'interno del quale « la produzione di valore della giornata più intensa varia col deviare deHa sua intensità del , lavoro dal grado sociale nor­ male» 19 - potrebbe dare tanto peso ad un eventuale livellamento dell'intensità del lavoro? E che cosa mai potrebbe nascondersi sotto le ceneri del neotaylorismo russo, se non il fatto chiaro, ma «scottante», che nel c.d. modo di produzione sovietico « c' est très souvent le feu qui se relève avec son damné »...? Anohe la continua insistenza di A.V. ,Solovev sul·« ca­ rattere soggettivo dell'intensità del lavoro» e sull'in­ fluenza non trascurabile che « l'intensità individuale del lavoro « esercita sulla produttività del lavoro (pagg. 25, 18, 27, 45, 24, ecc.) emana, del resto, un certo qual « fe­ tore capitalistico» ed è un'irrecusabi , le spia della so­ verchia attenzione 'riservata al dispendio della singola forza-.Javoro, piuttosto che alla massa totale del lavoro speso: « Il lavoro produttivo, in quanto lavoro produt­ tivo di valore - sottolinea mirabilmente Marx rin un passo così armonico col phylum del nostro discorso - è sempre, rispetto al capitale, lavoro della singola forza­ lavoro dell'operaio isolato, quali che siano le combina­ zioni ,sociali in cui questi operai entrano nel processo di produzione. Così, mentre il capitale rappresenta di fronte all'operaio la forza produttiva socia!� del lavoro, il lavoro produttivo dell'operazo rappresenta sempre, di fronte al capitale, soltanto il lavoro dell'operaio iso- 15

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