Il piccolo Hans - anno II - n. 8 - ott.-dic. 1975

nel caiso che le giornate lavorative e la loro durata ri­ mangano costanti o addirittura arnnentino per una parte sempre più grande de1la società (il che significa, ad es., che il tempo di lavoro risparmiato in una determinata sfera di produzione materiale viene reimpiegato capita­ listicamente in un'altra sfera di produzione) e come «svrluppo assoluto delle FPL» (sMpl), - corrispondent,e all'«economia di tempo assoluta» (eAt), nel caso che le giornate lavorative, la loro durata ( = Dg) e il «nu­ mero a�soluto degli operai» ( = On) diminuiscano pro­ gressivamente per tutta la c.d. «popolazione economi­ camente at6va», permettendo così aH'intera nazione «di compiere la produzione complessiva in un periodo mi­ nore di tempo» 14 e arrecando - tramite la liberazione di tempo disponibile per tutta la società - mutamenti quailitativi nell'impiego del tempo e, di riflesso, nello sviluppo stesso degli individui. Per cui: sRfipl = eRt sAfipl eAt Ua Ta Ua Td (dove Ua � Ta) Uc (oppure: - ) Td Ua oppure: Te dove T Dg-On. Ma, una volta concesso tanto, non solo non si sti­ merà più degno di considerazione ,I'ossequio tributato da Solovev alla tradizionale definizione di «sviluppo delle forze produttive», ma non si potrà nemmeno convenire con lui là dove, illustrando l'uguaglianza M P = C ·F ·I· P, si permette H lusso di sostenere che «le grandezze C ( = numero di operai) ed F ( = tempo di lavoro) mu­ tano poco e [idest: perché!] non hanno nessuna signi­ ficativa influenza nella (sic!) grandezza M P » (pag. 13). Né ci parrà ulteriormente tollerabile l'opportunistica in­ digenza teorica di tutti quei «franchi» cacciatori di 12

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