Il piccolo Hans - anno II - n. 6-7 - apr.-set. 1975

soffio tra il nodo fittizio e il nodo I'eale si spiega solo con quella strana prnprietà della lingua che Freud do­ vette avvertire là dove dice che, dopo avere preso come paziente se stesso con i propri sogni e i suoi nevrotici con i ,loro sintomi, ha finito con l'umanità intera con i suoi miti, le sue rabbie e i suoi disagi: ossia che è la lingua a supportare, trattenere e riJ>:rodurre le rimozioni e i buchi intorno a cui si struttura l'inconscio, il quale tiene sotto la sua dipendenza i gruppi e i soggetti e con le sue pulsazioni ili dispeI'de o li raduna. Mosso da quale forza il poeta s'è ficcato in questo buco plurale in cui non gli resta che contaI'e, cioè can­ tare, le coincidenze della propria genesi con le righe incandescenti della storia che passa e che egli potrà allora, poiché si inganna, dedurre, scrivere a corpo morto? Si tratta proprio della cattura dei corpi nella rete densa di una scrittura aperta e delilo slittamento che li conduce - uno alla volta o per orde - a occupare una posizione a vortice del buco, una forma vuota e «catastrofica», una posizione esposta, vulnerabile, o più semplicemente mortale. E' questa posizione che vedremo ora elaborarsi, fo­ mentarsi in due testi, l'uno bjblico in cui la tribù semita si fa rivolgere (da Dio...) le peggiori maledizioni qualora non segua il filo della sua scrittura; l'altro, letterario, che mette in scena la presa progressiva ed evidente d'una parola sul corpo, parola paterna derisoria e devastante. Tra questi due testi, un abisso, sufficientemente asse­ stato però, per lasciarvi sentire che si tratta della stessa cosa, del , la cosa-madre, in quanto condizione primordiale del lavoro della lettera e della furia delle parole nel demolire l'essere. Questa cosa è ombelicata in un me­ desimo vuoto de1la lingua; in quanto nei due casi è que­ stione di scrittura, ed essa verte precisamente sul rap- 219

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