Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975
definisce meglio di questa oscillazione sempre più rallen tata, ritenuta, che ci detta ,la sua morte e ci estingue, sen za eco ne brace, nè catacresi, nè truciolo. Forse ci sarà ancora a lungo nel calcolo crepuscolare del capitale un giòrno non contato, un buco stridente di sogni cancellati. Dov!'emo ancora a lungo, mimando il silenzio, attendere i primi rossori dopo la morte per intenderlo e ripercuo terlo? Allora, ciò che non aveva valore di parola, la faccia femminile rimossa della riva che ci orienta, diviene ma rea divorante, maroso alzato, poi zavorrato dal peso del la notte, essa si dispiega senz'altra referenza che la sua vertigine musicale, senz'altro grido che il suo che si moltiplica. E' nel movimento stesso di questa presa di vo ce che il testo f. si costituisce. Evidentemente, si tratta di una fotta. Poichè, appena esso abborda la geografia del senso, varca il territorio della misura unica dove il suo nomadismo, qualsiasi ne sia 1a sua legge, si arena già sugli intoppi di valore del modo di sessualità sedentariz zato. La misura unica che così legifera e distorce la grammatica dell'intervento finzionale qualifica questa sto ria murata neJ.le piramidi del monopolio, cioè: taratura fallica. Ecco ciò che si attacca alla voce e 1a devia - un processo tessuto a partire dal giallo d'uovo, legato nella lingua, prescritto. Dunque, tutto un piano di grammatica è bianco. Dall'altro polo della mia voce, nel basamento, una pulsazione ingrandisce che fa del senso con della sabbia. La pressione disegna la vettorialità della lotta che rumo reggia al disotto. La sua ora è l'intertempo, il deporto, uno scivolamento fuori dal campo tarato secondo il pun teggio fallico. Scarto della questione beante. Falla intrav· 159
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