Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975

cariche della lingua, ,la terra ha invaso la mia bocca terro­ sa come un buco di notte. Se cerco di sottrarmi a questo peso parassita, una voce, un'infezione nutrita prolifera sotto la mia voce che tace (viene e riviene, ora ridente, ora prigioniera, il più spesso prigioniera nell'aria densa, le membra paralizzate, gli occhi cistici, solo un cemento di collera sotto i raggi brucianti dell'alfabeto). Quale gri­ do annerito dalle lingue, la ritrovo, anonima e come fitti­ zia. La sua voce si accorda alla mia voce. Il suo fiato traversa la mia bocca, fuggendo la morte. Allora, ceden­ do al pericolo dei segni ipotecati, di una parola avversa, accettando le deviazioni e l'inganno, la coniugazione divi­ sa, la dualità del gioco, impegno il mio sesso, le mie sorelle, le mie figlie nel rilievo incompiuto delle lingue e della lotta. Ogni parola è la risultante di questa deiscenza rivendicata e negata, ogni pulsazione che mi porta in a­ vanti, il percorso deportato di una parola in negativo. Senza dubbio, è e non è questione qui di questa inva­ riante biografica vagina. O l'istanza biologica accaparra e maschera il posto dell'occorrenza simbolica del soggetto, e ogni scrizione (la storia, la socialità, ,la materia energe­ tizzata dell'arte e del lavoro) non può essere guardata che come un gioco, una sorta di sperpero insistente e fu­ tile. - E' la tesi reazionaria che ci allinea con le sue troie nel suo porcile antropologico - oppure, questa i­ stanza si inscrive fin dall'inizio nell'apertura del simboli­ co - ciò che formulo come desiderio e violenza del ter­ mine assente - e in questo caso, non vale che come mo­ tivo instabile. Instabile, vuol dire: preso in una mobilità regolata e sregolata da accentuare e rischiare senza fine. Ma anche questa mobilità ci è rubata. Un , equilibrio sub­ dolo ci incastra, un equilibrio che ci ha paralizzato le pupille. Nulla assomiglia tanto alla figura gelata dell'occi­ dente quanto questa messa ai ferri; niente o quasi la 158

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