Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975

dividono gli eHetti di uno sguardo che dall'esterno sem­ bra ora interrogare il so g getto sul suo romanzo familiare senza cenni di intesa, la metafora allora tramonta dal suo orizzonte mitico e penetrando nel labirinto, opaco, spezzando il racconto della copia, lascia campo a un al­ tro lavoro. L'opacità rimanda uno sguardo vuoto e imperturba­ bile. La maschera è impenetrabile, in essa il tete-à-tete non ha luogo. Per chi vi perdesse «qualcosa di più erotico di qual­ siasi rappresentazione di una unione compiuta» diciamo che il fantasma della scena primitiva non è il parco dove si frequentano le aiuole ordinate per i giochi dei bambini ma un taglio destinato a sospendervi il desiderio che a­ vrà per sempre, nascendo, perso il dialogo con il suo oggetto, e se poi non c'è stata scena primitiva, sarrà ricostruita, perché nel desiderio si entra con una sottra­ zione. Così il testo manca ancora. La parola mitica fa pensa­ re a quei paesaggi criticati da Baudelaire nel Salon del 1 59, quei paesaggi «familiari», copie dal vero, in cui la chiacchiera realista storna, e la metafora popola di incon­ tri, il silenzio e il vuoto che talvolta porta con sè l'acces­ so a un luogo nascosto del paesaggio, qui la vertigine o la compulsione masturbatoria mantengono tutta l'opaci­ tà dei luoghi. Opacità della quale possiamo dire con Baudelaire: « Preferisco contemplare qualche fondale di teatro, dove trovo, espressi artisticamente e in tragica concentrazio­ ne, i miei sogni più cari. Q ueste cose, essendo false, sono infinitamente più vicine al vero ; mentre la maggior parte dei nostri paesaggisti mentono proprio perché trascura­ no di mentire ». Ermanno Krumm

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