Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975

parte il testo non familiare, non sperimentale, non re­ alista. Anche questo testo manca, manca strutturalmente di sutura, di centro, di assunzione e di cauzione ma manca a un secondo grado, il primo manca mentre riempie di chiacchiera le pagine letterarie, manca ,l'ascolto e l'anali­ si e si rende superfluo al tete-à-tete con iJ testo polemico, questo, che da esso nasce; il secondo manca per via di can­ cellazione, per sottrazione logica dal pieno del sintomo, manca l'incontro e resta dall'altra parte cioè dalla parte dell'Altro. Allo specchio si oppone {senza simmetria) il labirinto: ciò che è opaco. Opacità e ottusità. « L'ottusità - scrive Baudelaire in uno dei suoi primi articoli - è spesso l'ornamento della bellezza. E' grazie ad essa che gli occhi sono tristi e trasparenti come neri acquitrini, o hanno la calma oleosa delle paludi tropicali ». Opacità che si sottrae alla risposta : « E' il fatto che l'attesa rivolta allo sguardo dell'uomo rimane delu­ sa», scrive Benjamin. E ancora: « con spavento il malin­ conico vede la terra ricaduta nel nudo stato di natura. Nessun fiato di preistoria la circonda. Nessuna aura». Nessuna aura; « la dagherrotipia aveva per Baudelai­ re qualcosa di pauroso e di conturbante». La fotografia nasconde qualcosa di micidiale come se ingrandendo l'istantanea nel parco londinese sorgesse dal­ la filigrana dell'immagine l'omicidio che si nasconde nel­ l'apparente naturalezza della siepe. La foto ricordo, formato famiglia, è quella del padre, ma se contiene i germi di una pietas che ,la tiene come domestico lare, è anche lì per mostrare che quell'immagi­ ne non può essere che di morte, allineata come essa è in una ripetizione di ricordi che di vivo hanno solo il loro essere: puro mito. Se all'oggetto è tolto il suo appartenere al romanzo, se resta muto nella sagoma in cui la luce e l'ombra si 150

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