Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975

dunque quale cosa ma la cosa di chi, e in che cosa. Sul versante soggettivo, quello dello scrivente, resta un segno di ansia, desiderio di sapere, fatica; rn quello « oggettivo » al realismo si oppone il verbalismo speri­ mentale. Spesso il discorso corrente parla di cose che vogliono essere cose e di cose che restano parole, nei due casi di significante nessuna traccia. Per essere più precisi di significante c'è come un gioco in corto circuito di richiami infiniti, a specchi, · a paraventi in cui diven­ ta come il mito di se stesso. Il mito, come mostrava Barthes fin dal '57, assegna al­ l'intero sistema della lingua il posto di significante del segno mitico. Al segno linguistico, la parola, si sovrappo­ ne un segno di secondo grado in cui il significante scivo­ la via occupato com'è dall'intero segno precedente. Gioco di specchi, inscatolamento in cui precisamente dal signifi­ cante alla parola c'è un occultamento, un'eccesso. Il questionamento di questo slittamento del significan­ te non è tanto rivolto alla storia della cultura, delle religioni e all'antropologia, esso si pone all'angolo di incontro del romanzo familiare con la contraddizione del­ la lotta di classe nell'ideologia, e, in definitiva, con la rivoluzione. E' questione di linguaggio in questo incon­ tro: o restiamo nel terreno dell'espressione (comunicazio­ ne o non comunicazione) e in esso con un soggetto ideologicamente pieno, appunto soggetto dell'espressio­ ne; oppure il linguaggio e il suo soggetto si muovono nel­ lo spazio del simbolico in cui l'Altro parla, in cui, silen­ zio, non detto, e - logica inconscia giocano al soggetto che parla, al suo immaginario, al suo detto, il tiro della fin­ zione. I linguaggi mitici Il linguaggio mitico funziona nei differenti codici or­ ganizzati come sistemi e interviene in altrettanti discorsi 137

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