Il piccolo Hans - anno I - n.4 - ottobre-dicembre 1974

alla scienza, alla scientificità, perfettamente mitica, di con­ cetti o di teorie considerati indipendentemente dal loro con­ testo tecnico-sperimentale e dalla loro contingenza storica. I rapporti tra la scienza e la politica non potrebbero essere dei rapporti di dipendenza. Certo, l'una e l'altra procedono dagli stessi tipi di concatenamenti collettivi economici e sociali, ma le loro produzioni semiotiche sono orientate in vie differenti. Gli enunciati scientifici nel quadro dei rapporti di produ­ zione scientifici attuali - sono come aspirati dal campo del formalismo logico-matematico, mentre gli enunciati politici - nel senso non più di una micropolitica del desiderio, ma questa volta nel senso abituale - sono ribaltati sistemati­ camente su degli enunciati personologici, familialistioi e uma­ nistici. In queste condizioni, concedere alla scienza il privi­ legio esclusivo di essere il luogo della verità, il focolaio unico di tutte le deterritorializzazioni significa dare partita vinta alla scienza, a una certa mitologia della scienza. E pre­ tendere di ridurre la politica ad un puro esercizio ideologico nel caso in cui essa rifiutasse di sottomettersi alle ingiun­ zioni degli epistemologi significa spingerla ancora più avanti nell'impasse. Rifiuteremo dunque, qui, la validità di una coupure epistemologica radicale tra un campo concettuale di pura scientificità e un'ideologia puramente illusoria e mistificatrice. Appena il discorso della scienza diventa un discorso sulla scienza - ed è impossibile determinare il limite assolutamente sul terreno reale dei concatenamenti di enunciazione scientifici -, non ci saranno che degli epi­ stemologi a contraddirci, esso cade da sé nell'ideologia, cioè in una semiotica della significazione. Inversamente, le pretese ideologie possono acquisire un'efficienza reale, possono es­ sere maneggiate « scientificamente » ed avere delle conse­ guenze sociali, economiche e materiali decisive. In breve, ci sembra affatto assurdo voler fondare una politica rivolu­ zionaria sulla scienza. E' vero che la scienza a cui si riferi­ scono i marxisti scientifici non esiste; si tratta di una scienz:i immaginaria che non funziona che negli scritti degli episte­ mologi. Invece, non ci sembra assurdo sostenere una politica rivoluzionaria su delle pratiche semiotiche in rottura con la semiologia dominante; cioè su una pratica della parola, della scrittura, delle immagini, dei gesti, dei gruppi, ecc. che con­ durrebbe in modo diverso il rapporto tra i flussi di segni e 144

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