Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

Apostolo 6 9 7 le giornate si allungano, e non fa paura. Poi, verso quell'epoca, c'erano i teatrini che tenevan caldo : quella specie di rimessa male imbiancata verso San G i o v a n n i dei Fiorentini, con tante file di sedie sgangherate e in fondo un tendone verde, che nascondeva un palco purchessia, dove però i giovanotti del circolo universitario cattolico condivano la solita « F a b i o l a » e le solite ^« Pistrine », edizione per uomini soli, con qualche monologo gustoso; quel sot– terraneo a volta schiacciata della chiesa del Sacro Cuore, dove i bravi Salesiani facevano agire i filodrammatici e la banda : certi tromboni, certe grancasse che non capisco come non sfondassero i l soffitto e non facessero scappare i santi dagli altari... M a eravamo giovani, e le caramelle di T o r i n o , comprate in società e distribuite nei momenti opportuni, portavano anche là dentro, in pieno inverno, gli odori e i sapori dell'estate. A l l ' o r a di ricreazione c'era la tombola, e tombola, pangiallo, caramelle c'erano anche alla veglia di Natale, dalle nove a mezza- < notte, col permesso di stare anche in camera volendo ; i p i ù furbi si facevano il caffè e qualcuno arrivava anche a fumare. A mezzanotte, all'ora di andare in chiesa, faceva tuttavia u n po' freschino e non era permesso mettersi i l pastrano sotto la cotta... O h quella cotta mia, « grettata » dalle monachine (quella specie di mamme anonime, che avevano cura scrupolosa di tutto i l nostro corredo, intermediario di ordini, proteste e pagamenti i l settimanale sacchetto del bucato), quella cotta col pizzo a tombolo, di color giallo crema, ch'era i l mio amore! Fantasia, dicono, non l'ho mai avuta, perché non ho saputo mai, n o n c h é dire bugie, tacer qualcosa : o come va, che quando ero ragazzo mi bastavano due note del p i a – noforte, due tasti tenuti abbassati finché durava l'ultima eco del suono, per sentirci tutte le p i ù belle melodie? e che un raggio di sole attraversasse una caraffa piena d'acqua messa sopra alla tovaglia, perché quei colori mobili, quel gioco di riflessi, mi ricreassero in men– te le pagode dell'India e del Giappone, i soffitti dell'Alambra, le gemme dei racconti delle fate? ( A sedici anni, in quella cotta « grettata » dallé monachine, i n tutti i ghirigori di quella bella tela inamidata, aggiustata a v e n - taglietti, a sbuffi, a roselline, in piena messa sognavo giardini incan– tati, strane architetture; e quel merletto a tombolo, con le sue punte e fasce e nodi ed altalene, mi si incrociava in testa coi fregi bizantini del mio breviario francese, e viaggiavo viaggiavo... Sotto quella cotta non era dunque possibile i l pastrano : m a mettersi due sottane sì, quella stinta sotto, e sopra quella nuova :

RkJQdWJsaXNoZXIy