Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

A P O S T O L O L a nostra chiesa di Sant'Apollinare non era né p i ù bella né p i ù brutta delle altre trecento chiese di Roma, di quelle intendo dire p i ù comuni: una facciatina barocca sull'angolo di una piazzetta quieta, un atrio scuro, una navata ampia e luminosa, con molte cappelle ai fianchi, separate da bei pilastri scanalati, e in fondo un grande altare, con un coro immenso, tutto marmi, iscrizioni, fregi, dorature, diviso in due su cinque file di stalli. Ogni festa comandata l i riempivamo tutti fino all'orlo : sulla destra i pavonazzi alunni del Seminario Romano, alla sinistra noi p i ù modesti del Seminario Pio, con la semplice fascia viola sopra la veste nera. I n basso, at piedi dei gra– dini, un parapetto di noce scuro separava l'organo e i cantori, le ugole p i ù robuste di tutt'e due i collegi, da due file di banchi pei fedeli. M a quei banchi ogni festa erano vuoti. Quando dagli ampi corridoi, giù per le lunghe scale, le due fiumane scendevano fino alla chiesa, avanti i giovanini, dietro gli anziani, e a due per volta, inchinandosi alla croce, prendevan posto, i l coro diventava una distesa sola di cotte candide e di facce rosa, palpitante : sfavillavano i ceri sull'altare, fumavano gli incensi, l'organo rombava, i l celebrante in piedi, a testa china, iniziava i l suo rito, e gli altri genuflessi lo seguivano intorno intorno, mor– morando : fra noi tutto era luce, profumo, melodia; ma di fronte oh come nuda e fredda quella chiesa senza un'anima v i v a ! Sì e no, in prima fila una vecchina, che spariva quasi fra le valve della sua panca; sì e no nel fondo un'ombra d'uomo, che si affacciava u n momento e poi spariva. Nei momenti p i ù belli della messa, quando l'incenso scende dall'altare sul coro e lo confonde in una nuvola sola, all'elevazione quando l'altare è una piramide d'oro con in cima l'ostia bianca

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