Pègaso - anno V - n. 5 - maggio 1933
G . C O M I S S O , Il delitto di Fausto Diamante . 6 3 3 Nella prima parte del racconto lo vediamo ancora combattuto e diviso; non ha preso una decisione, ma si dà coraggio per prenderla. Nella casa dei genitori a Treviso, è come un estraneo; i l p i ù del tempo solo a fantasticare sulla terrazza sopra i l tetto, o via per le campagne intorno. U n a volta va sul Grappa a rivedere i paesi e le trincee della sua guerra, ricerca in una città vicina le traccie di una sua avventura d'al– lora, e per via fa altre conoscenze, altri avventurosi incontri. (Queste sono buone pagine d'impressione e vagabondaggio agreste, del migliore e più noto Comisso). M a a Fausto Diamante ciò non p u ò bastare : anzi, quella vita libera nella campagna per contrasto gli fa apparir più nero il destino (lo studio, l'impiego, l'ufficio) che l'attende i n città. Peggio : in città Fausto va a trovare un suo vecchio zio avvocato già logorato dalla triste vita..., incontra un antico compagno di scuola divenuto ora un volgare politicante e imbroglione..., va in visita al manicomio e s'imbat– te in un altro vecchio amico ridotto lì... : in questi specchi Fausto vede quale sarebbe i l suo destino se restasse ancora a Treviso. « T u t t i così i miei amici, tutti mi cadono attorno abbattuti. Io solo resisto ». A l l o r a (ahimè) « una smania di distanze lo prese ». Eccolo in treno per la via di Genova, vestito mezzo da soldato, con un telo da tenda per valigia e in tasca, per viatico, i l « premio di smobi– litazione ». A Genova si presenterà a un armatore amico di amici, s'imbarcherà, andrà lontano... M a qui il diavolo ci mette la coda, e tutto gli va a rovescio. L'armatore non gli trova l'imbarco, un ladro gli ruba il portafogli, il cameriere di un caffè con la scusa di un prestito cerca di portargli via i gemelli d'oro. E l'eroico Fausto : « — H o conquistato più d'una trincea, ho fatto centinaia di prigionieri, ho ucciso : come mai non posso aver ragione contro un cameriere? ». Eccolo adesso allo sbaraglio per le vie della città; fa la fame, dorme dove gli capita, s'intruppa nelle peggiori compagnie... ( E qui cadono belle pagine di vagabondaggio cit– tadino; bassifondi, teppisti, meretrici, avanzi del porto, scene di malavita ritratte sopra un fondo di natura sana, il sole, la brezza notturna, i l mare, con quella simpatia un po' acre che già conoscemmo nei bozzetti parigini di Comisso). M a dov'è andato a finire l'eroismo di Fausto D i a – mante? È andato a finire male. « Non si sa tutto quello che p u ò fare i l no– stro corpo. Egli è un altro. E il sangue che vi circola segna il tempo e dà luce diversa secondo l'aria che si respira. Io potrei diventare un de– linquente ». L a premessa non è chiara, ma è chiarissima la conclusione. Infatti vediamo una volta Fausto Diamante dar mano a certi teppisti che derubano una carovana di emigranti e si busca per compenso una scarica di pugni; una notte è a cena e a letto con una meretrice che paga lei; e poi c'è quella tale storia del poeta Marco Massimo che abbiamo accennato in principio. E non staremo adesso a dire come fu che il gio– vane Fausto Diamante si t r o v ò ai servizi personali di quel poeta molto esteta e troppo affettuoso coi suoi amici, e i l tira e molla tra i due, e la gita insieme alla villa di certa nobildonna sul mare, l'improvvisa ge– losia del poeta a causa di lei, e Fausto Diamante che perde la pazienza, lo strozza e lo butta ai pesci. Nonostante un curioso immoralismo un po' nascosto dietro la tenda e un po' ostentato, questa storia col poeta invertito, la villa e la speciosa nobildonna è autentica e pacchianissima car-
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