Pègaso - anno V - n. 5 - maggio 1933

B . C R O C E , Poesia popolare e poesia d'arte 6 2 9 Ricco fu il trecento di poesia, che ci si presenta assai varia, perché vari e franchi erano allora i costumi, energiche le personalità civili e poli– tiche, spontanea la religione. N o n è però poesia davvero né tutta la i m – mensa versificatoria gnomica e politica di quel secolo, quando i versi compivano uffici che p i ù tardi appartennero ai trattati, alle relazioni, ai giornali, né la sterminata «letteratura di d e v o z i o n e » , come chiama i l Croce la versificatoria di sentimento e soggetto sacro; la quale, avendo, non meno della versificatoria profana, una causa da sostenere, interessi da promuovere, disposizioni da introdurre o raffermare negli animi, affanni e letizie da sfogare, non p u ò aprire allo spirito la infinita vista dell'universo come fa la genuina e piena poesia. Questa si tacque dagli ultimi decenni del trecento agli ultimi del quattrocento : il « secolo senza poesia » s'estende dal notissimo com– pianto del Sacchetti al fiorire del Pulci, del Magnifico, del Poliziano, del Boiardo, del Pontano, del Marullo; ed è « senza poesia » nel senso che non ebbe nessuna grande personalità poetica, ripetè forme, temi e motivi trecenteschi, e spese le sue energie nell'erudizione umanistica e nelle arti. L e personalità apparse poi si dividono, sebbene ciascuna a suo modo, il retaggio dell'umanesimo, che via via fornisce nuova disciplina letteraria, di cui s'imprimono, per diverse guise, prima in Italia e poi nel– l'Europa, la lirica, il poema, la commedia, la tragedia del rinascimento. Pur negli ultimi saggi torna utile la differenza tra poesia popolare e poesia d'arte, perché quei « generi » del cinquecento segnarono come una crisi, mercé la quale il gusto letterario fu riportato da una poesia diffusa e popolare a una poesia intensa, e da un'arte più o meno mate– riale a un'arte idealizzante. Persuasive mi paiono segnatamente le qua– lificazioni della Calandria, della Mandragola, del Candelaio, de d'in– gannati, di altre commedie geniali, e di non poche liriche petrarchistiche e umanistiche; e persuasiva la riduzione della commedia dell'arte a un fatto d'ordine pratico ed economico, nel meccanizzamento effettuato sul tramonto del rinascimento dalla controriforma e dall'assolutismo. L'esposizione del Croce, coerente ne' principii direttivi, e animata da profondi interessi umani, perché riguadagnare e assicurare l'intelli– genza e il godimento delle opere belle è altrettanto necessario quanto tener viva la tradizione delle verità scientifiche e degli abiti morali, ha per panorama l'Europa, senza cadere nel generico e nell'arbitrario della vecchia critica comparata, e s'avviva continuamente d'osservazioni fe– conde e talora facete, come nel ricordare che i commentatori delle Api del Rucellai, dalla controriforma in poi, spiegarono che il poeta alludeva agli zingari nei vivaci endecasillabi scagliati contro i preti e i frati, « pigra e scellerata setta... ». N é certo cadrà nel vuoto la raccomandazione di non lasciare ancora inedite o sparse o senza maggiori cure filologiche tante rime e novelle popolari o d'arte, e di considerare il petrarchismo e l'amor platonico, non per le loro formole, che sono assurde, ma per i bisogni che interpretarono, e di continuare l'esame della poesia latina dell'uma– nesimo e del rinascimento coi criteri qui lumeggiati e sperimentati. D O M E N I C O B U L F E R E T T I

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