Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933
« La frusta letteraria » 3 0 9 sua scrittura, dava esempio di sapere quel che le incerte sue teorie non rendevano : la lingua toscana « è la sola universale d ' I t a l i a » ; ma dai « barbuti patrassi » dei classici, c'è solo da apprendere vocaboli e imparare a distinguere le frasi native dalle forestiere : poi bisogna scrivere come viene viene. Per stile intende soprattutto i l periodare, e reputa lo stile del Boccaccio « per lo p i ù pessimo », « studiatamente abbindolatissimo », mentre la lingua ne è « per lo p i ù ottima ». Egualmente fiacca la sua teoria contro i l verso sciolto : « I l verso sciolto è u n verso i n v e n t a t o d a l l ' a r t e , e n o n d e t t a t o d a l l a n a t u r a della nostra l i n g u a . Se i l verso sciolto fosse n a t u r a l e a l l a nostra l i n g u a , se fosse, d i r ò c o s ì , figlio d e l l ' i n d o l e della poesia nostra, i n o s t r i p o e t i l ' a v r e b b e r o t r o v a t o almeno due secoli p r i m a che nascesse i l T a s – s i n o suo i n v e n t o r e » . T e o r i a speciosa, per l a quale esortava il P a r i n i , cui p u r considerava uno dei migliori poeti del tempo, a darsi l'inco– modo « di ridurre i suoi versi sciolti i n versi rimati ». E poi, con tanto ardore di modernità, con tanto amore della v i t a v i v a , quando i n Italia, modernità e v i t a nuova si manifestavano nell'antiletteraria e antitradizionale vena di C a r l o G o l d o n i , i l Baretti si fa cieco e ostile. Capace perfin di lodare, sia pure senza esaltarsi, le rime di un Durante D u r a n t i , capace di dedicare ampio elogio al Cicerone del Passeroni, move poi spietata guerra a C a r l o G o l d o n i . Credo che sia questa la massima colpa critica del Baretti, e non è neppure nobilitata da uno splendore di paradosso o da una bizzarrìa di scandalo contro giudizi inerti della fiacca tradizione ; rimane piatta, solo a v v i v a t a qua e là da qualche arguzia, o da qualche felice os– servazione episodica. G o l d o n i che « si gode papalmente l'aura popolare » e magari l'ammirazione del gran V o l t a i r e ( i l quale non conosce l'italiano, benché abbia scritto in italiano una i n – sulsa letterina laudativa al G o l d o n i ! ) è un cattivo scrittore, « un pubblico avvelenatore » che, come i l C h i a r i , « sbaglia i l v i z i o per v i r t ù ». E i l Baretti interpreta e discute le parole dei personaggi del G o l d o n i , le quali son note di un carattere e non un trattato metafisico, come fossero la personale concezione del G o l d o n i sulla v i t a ; quasi chi dicesse che Shakespeare è un i m – morale perché ha concepito lady Macbeth e Jago e le cattive figlie di R e L e a r .
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