Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933
2 7 0 P. Micheli fine della corrispondenza anche tra i n t i m i è u n fatto comune ed è inutile indagarne le cause; pure t a l v o l t a fantasticai su questo invincibile silenzio del Pascoli e n o n potei fare a me– no di trarne m o t i v i di mortificazione per me e di rancore ver– so di l u i . C o n tutto ciò seguii sempre la sua produzione ed era festa per me, trovare s v o l t i alcuni pensieri accennati da l u i a voce, di vedere sentimenti e idee prendere forma diversa da quella i n cui si erano presentati alla sua mente, p u r rimanendo i n v a r i a t i nella sostanza. E n o n avevo solo l'intuizione, ma addirittura le prove di tutte le sue sofferenze; di quelle derivate dalla guerra che gli era fatta dagli uomini e di quelle inseparabili della sua n a – tura, quali l'assillo della gloria, i l terrore della morte e l a tre– pida preoccupazione dell'oltre tomba. M i pareva scritto per l u i i l dialogo leopardiano Della Natura e di un'Anima con la sconsolata i n g i u n z i o n e : « sii grande e infelice » . Seguivo la sua produzione e i casi della sua v i t a , ma n o n credevo d i tro– v a r m i mai p i ù insieme con l u i . Invece u n nuovo trasferimento mi p o r t ò a Bologna, dove i l Pascoli era succeduto al C a r d u c c i . Essere a Bologna e non andarlo a trovare, sarebbe stata addirittura u n ' e n o r m i t à e mi decisi a salire a l l ' O s s e r v a n z a a casa sua. M i ricevè con la gioia con cui si rivede u n amico i n – timo dopo una lunga lontananza. L a sua faccia invecchiata aveva u n continuo lampeggiamento d'allegria giovanile. C ' e – ra l ì , nella stanza, l'editore Z a n i c h e l l i che gli aveva portato un fascio di bozze da correggere e ne riprendeva altre già corrette. I l Pascoli m i presentò a l u i come u n ironista, aggiungendo a tale designazione, le lodi eccessive che gli erano abituali. Q u e – sto fu per me una prova che egli aveva letto veramente i l r o m a n – z o mandatogli alcuni a n n i prima, cosa di cui dubitavo u n p o – chino. E r a i n vena buona, forse era contento del lavoro fat– to e gustava, i n u n breve intervallo di riposo, i l ricordo del passato che r i v i v e v a i n l u i con la mia inaspettata presenza. A n d a t o v i a lo Z a n i c h e l l i , parlammo di molte cose e i l P a s c o l i scherzò comunicandomi i discorsi che erano stati fatti a C a – stelvecchio intorno ai signori M i c h e l i (cioè me e i miei f r a – telli) a proposito di un'eredità che noi avevamo avuto i n co– mune con una parente dello Zi' Meo; e poi, esilarato dal ricor– do di fatti e di persone livornesi, m ' i n v i t ò , senza fissare i l gior– no, ad andare a bere una bottiglia a casa sua. R i t o r n a i dopo m o l t i giorni e l o trovai tutto differente.
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