Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933
3 6 2 U. O jet ti che io ti consigli d'andare a vedere ad A m b u r g o le volte amplissime d i non so quali grandi m a g a z z i n i , tutte d i cemento armato, e meno costose d i capannoni di legno. E ho io da ricordarti quelle del nostro amico E l - saesser sul Mercato di Francoforte? E le cupole Zeiss ad armatura reti– colata, che si voltano sui planetari? E le volte ribassate dei Perret sulle loro chiese di L e R a n c y e di M o n t a g n y ? E la volta del Moser nel S a n – t ' A n t o n i o di Basilea? Oserei dire che le strutture da te scelte per l a nostra Università, tutte a travi e pilastri, sono soltanto le p i ù ovvie e le p i ù facili. M a a che gioverebbe portarti i cento esempi che tu conosci meglio d i me, se, nella foga del negare, tu romano sei arrivato ad affermarmi « che la R o m a postmedievale non ha mai usato archi » ? E n o m i n i S a n Pietro, i l Gesù, S a n t ' I g n a z i o , San C a r l o al C o r s o , S a n t ' A n d r e a della V a l l e , Sant'Agnese e via dicendo. M i sono sfregato gli occhi. D o v e m a i , dopo la R o m a imperiale, s'è vista una magnificenza, una potenza, u n o splendore d'archi e di volte e di cupole altrettanto stupende? V e d i 1 d a n n i d i non voltarsi p i ù indietro. D e l resto, che ti chiedevo io? T i chiedevo perché sull'asse della tua Università, diciamo pure, romana, dal portico d'ingresso al pronao sotto la torre del Rettorato tu, con quella monotona forma a pettine già da tanti a n n i apparsa allo Sportforum di B e r l i n o , abbia voluto rinnegare n o n solo l'arco ma anche le colonne. Quelle pilastrate sono costruzioni di p u r o ornamento, o isolate o addossate, tutte rivestite di marmo. C h e c'entra i l cemento? A n c h e ad adoperarlo come ossatura, sui settanta ed ottanta m i – l i o n i che costerà l'insieme, credo che farai un ben magro risparmio. L a r a – gione è un'altra : è quella di apparire moderno anche a rischio d i n o n essere né romano né italiano. L a mia domanda resta dunque l a stessa : quanto p u ò durare questa ambita lode di moderno? D o p o quanti a n n i quello che è moderno, diventa vecchio? E n t r a nel tuo modernissimo C i – nema C o r s o di dieci e quindici a n n i addietro e poi rispondimi. E p u ò un pubblico edificio per l'Università di R o m a correre questi rischi dei figurini? So che a leggere sull'Archi tee ture d'aujourd'hui i risultati del re– cente viaggio di architetti i n Russia, le fragorose inesorabili condanne che tu lanci al nostro passato sembrano già fuor d i moda come le vesti corte al ginocchio. U n architetto infatti già annuncia un'epoca nuova « che segnerà u n ritorno verso le antiche tecniche e i l cui spirito tenderà p i ù nettamente a uno stile decorativo ». U n altro, cercando u n nuovo stile nazionale russo, respinge, sì, « l'imitazione eclettica degli s t i l i antichi » ma, quasi pel gusto d i dire i l contrario di quello che dici tu, chiede « che si prenda dall'architettura antica tutto quello ch'essa h a d i positivo ». U n altro ricorda che « le folle aspettano dall'architettura sovietica u n afflusso di vigore e di gioia e che questo n o n si p u ò ottenere dalla nuda architettura, senza l'aiuto della scultura e della pittura » . E i l direttore della rivista, A n d r é B l o c , conclude : « L a nostra epoca n o n occuperà purtroppo u n posto molto brillante nella storia dell'arte, e n o n è i l caso di trarre una specie di gloria dalla povertà delle nostre concezioni. A
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