Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933
3 6 0 U. Ojetti nostri connotati, alla nostra lingua, e ai p i ù durevoli ed evidenti segni della nostra civiltà. Bada : rinunciando a questi segni avrai l'applauso degli stranieri perché p i ù gentilmente disarmato non ti potresti presentare a l paragone con l o r o ; ma una cosa è l'applauso, u n ' a l t r a cosa è la stima. I o penso ai tempi nei quali anche i n U c r a i n a chiamavano un R a s t r e l l i o u n Quarenghi a costruire all'italiana. T e m p i passati, tu dici : rassegnamoci, non guardiamo p i ù indietro, e accontentiamoci d'essere sereni e r i t m i c i . . . Accomodati pure, caro Piacentini; io resto i n piedi. « Perché la sola architettura dovrebbe rimanere volta indietro » ? C h e significa voltarsi indietro? Studiare i nostri antichi e la nostra storia? D a l Brunellesco al B e r n i n i , dal Bramante al V a n v i t e l l i , tutti i nostri grandi hanno cominciato proprio voltandosi indietro, cioè guardando a R o m a . Soltanto così, quando si sono messi a camminare, sono andati sulle strade del mondo un poco più lontano di v o i a l t r i ; e non è detto che oltremonte trovassero tutti applausi. « Perché tu non parli e non scrivi i l latino? Perché non vesti l a toga e non c a l z i i l coturno » ? A h i m é , questo è un vieto argomento da cronisti mondani che agguagliano v o i architetti alle sarte; e fa stupire che proprio tu architetto lo accetti, accettando così di ridurre effimera la tua arte che era di tutte le arti la p i ù solida e durevole. C r e d i tu davvero che Michelangelo o i l P a l l a d i o abbiano parlato latino e abbiano calzato i l coturno? E che le architetture abbiano da mutare con la foggia delle vesti, con la forma delle scarpe o coi m e z z i di trasporto? T r a l a pioggia d i let– tere che i n questi giorni m'è caduta addosso, ce n'è una milanese, p i ù pungente delle altre. N o n resisto, perdonami, alla tentazione d i citarne una frase sola : « Se l'architettura deve seguire l a moda delle vesti, m i dica lei che l o conosce : sulla p i a z z a di Brescia l'architetto Piacentini dove aveva posto i l suo spogliatoio »? M a tu sei un convertito e hai i l fervore del neofita. C o m e se nelle cento fabbriche, e molte ammirevoli, alzate da te fino a ieri tu n o n avessi mai adoperato un grano di cemento, tu spieghi tutte le geometriche n u d i t à e novità con questa improvvisa dichiarazione che dovrebbe far tacere ogni critica : « È i l sentimento del cemento armato, struttura tipica e d o m i – nante dell'epoca, che vince e s'impone ». N o n basta i l senso, cioè la co– noscenza e l'esperienza; c'è anche i l sentimento, con quel tanto di pate– tico che la parola comporta. E sta bene. U n a materia duttile quanto i l cemento non s'era ancora veduta nell'arte del costruire, e gl'ingegneri i n – fatti ci mostrano ogni giorno, dai ponti alle tettoie, dalle balconate ai grattacieli, meraviglie i n questa materia. V o i architetti come ve ne ser– vite? T u t t o è qui. Salvo le dovute eccezioni, la prima differenza tra l'ar– chitetto e l'ingegnere è stata sempre i n questo; che l'architetto d o m i n a la materia, pietra o mattoni, calcestruzzo o cemento, ferro o vetro, e l a piega all'arte sua; e l'ingegnere le obbedisce. Meglio : « Nell'architettura italiana lo spirito ha sempre dominato la materia; e questo è i l p r i m o f a – scino della nostra arte ». Sono parole tue nel Dedalo del gennaio 1 9 3 1 .
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