Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933
siora Felice Pagan? Ebbene, me ne a n d r ò io i n giro per C h i o g – gia e poi prenderò i l vaporetto.... T e n e r e a mente: calle V a l - laresso.... » Q u a n d o l'ammalata s'alzò e riprese possesso della p o l – trona, assicurava di star meglio di p r i m a e di voler campare altri cent'anni, e i famosi bacini d'acqua salsa nelle lagune d i C a o r l e se l i teneva t u t t i per sé. F i g u r a r s i che proprio i n uno di quei bacini pasturavano degli ottimi cèfali che, se pe– scati di notte senza l u n a , hanno lo stomaco v u o t o e sono ec– cellenti : e si sa già che i l miglior boccone del cèfalo è l o stoma– co vuoto, « el boton ». — D e l ò e v o l o e l boton xe el megio bocon, — concludeva con un'intenzione quasi polemica, per dir che ciascuno deve salvaguardar l a sua roba e tenersi i l me– glio per sé, compresa questa leccornia del boton. Oggi, passata la burrasca, le donne di calle salivano a r i – verir la padrona reduce dall'inferno della colica epatica con co– lecistite ricorrente. C ' e r a la lavandaia eternamente stanca della lìsia, c'era la donna gravida che doveva entrare all'ospedale a scodellare i l p u t è l o o i p u t è l i , ché potevano anche essere due. Questa ottima C a r m e n seduta alla finestra, con licenza della padrona, s'apprestava ad attaccar u n ' a l t r a toppa, u n altro ta- con, nelle brache del suo amato e venerato sposo, ch'ella c h i a – m a v a « el D a v i d e » come la P i n a chiamava « el Checco » i l suo uomo : e queste brache del bragozzante pesavano come d i piombo tanto si gloriavano di taconi messi l ' u n o s u l l ' a l t r o a turar buchi, perché la C a r m e n era d'avviso che n o n si dovesse tagliar i l pezzo rotto e p i ù c'era stoffa p i ù le brache tenessero caldo. O r a pareva alla donna che la sua vista si fosse indebolita, non cì si raccapezzava p i ù fra quelle toppe, voleva « i oci fer– ramenta! », cioè u n comodo paio d'occhiali, ché gli occhiali oc– correvano per quel genere di l a v o r i come, per mangiare i peoci e la cape da deo, ci vuole il feral de prua o fanal da p r u a , ch'è poi u n boccale di v i n o . L ' A n d r e a n a ascoltava questi d i – scorsi senza sorridere, delusa, ostile, e sentendosi come giuoca- ta dalla « spìssa » e dal « figà » di siora à m i a , pensando al modo di fuggire al p i ù presto di prigione o di trappola, mentre la M i a Felice, risuscitata, pareva allegrissima e incitava le d o n – ne a parlare e a cantare, a dar spettacolo. A l l o r a la P i n a si r i – cordò della canzone del marinaio che dice d'aver donato al v e n – to le vele : « L e h a donate al vento di scirocco e i l suo vascello è i n porto a Malamocco, le ha donate al vento di marina e i l suo
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