Pègaso - anno V - n. 2 - febbraio 1933

1 5 4 M. Mita la v ' è d i tanto irreale che le leggi e le p o s s i b i l i t à dell'arte cine– matografica non accolgano e trasfigurino nella superiore r e a l t à della ritmica successione d ' i mm a g i n i e suoni. Figurarsi se p r o – p r i o i l cinema ha da temere i l vecchio paradosso melodramma– tico d'una vicenda umana che si svolga su u n continuo piano musicale! E invece p r o p r i o questa paura si rivela nella maggior parte dei film odierni, quando non siano creati dalla libera mente d i a r t i s t i , ma dall'avveduta e timorosa assennatezza d i commercianti e i n d u s t r i a l i . L a controprova d i tale situazione è i n certi film d i ingegni veramente a r g u t i e spregiudicati, che rompono la consuetudine realistica con una t a l ostentazione i m – pudente che denota la coscienza d i far qualcosa d i audace e d i arrischiato: si veda i l famoso Million, d i R e n é Clair, dove l'as– s u r d i t à d i certe entrate musicali (coro e marcia dei creditori, coro e sfilata i n questura) è esasperata fino a una paradossale buffo– neria, colorata d i maliziosa e ironica autocaricatura. I l film deve essere, per norma generale e nella sua massima parte, musicato. È necessario questo secondo compromesso con la realtà, perché i l p r i m o possa reggere, perché i l muovere e l'agire d i ombre immateriali su una superficie senza p r o f o n – d i t à possa avverarsi senza destare i n chi osserva l'angoscia d ' u n incubo opprimente. È ormai acquisito e riconosciuto che m u – sica, o almeno suono, al cinema ci vuole, non foss'altro che per avviluppare i n un'onda d i rumore cullante, i n u n alone d ' i r – realtà l'illusione magica dello schermo, e separarla dagli scric– c h i o l i i e dalla contingenza della sala. Basta ricordare qualche scena ove i l silenzio sia stato espressamente cercato dal d i r e t t o – re, e l'effetto tragico, angoscioso, terribile che se ne trae (per esempio l'inseguimento nella palude, i n Allelujah, d i K i n g V i d o r ) , per convincersi che i l silenzio non è la condizione a b i – tuale, ma eccezionale, anormale, del cinema. Per queste stesse e per altre infinite ragioni che si sono tante volte invano ripetute, la parola, i l discorso umano, con le sue pause, i suoi silenzi e le sue intermittenze, non p u ò es– sere l'abituale clima sonoro del cinema. L a parola è ancora real– tà pratica, prosa, che rompe la magia dello schermo, fatta d i luce e d i ritmo, d i movimento e d'illusione. Nel film sonoro la parola sostituisce la didascalia del film m u t o ; e come allora, ai tempi del film muto, ci si era accorti che i l l i m i t e massimo a c u i tendeva la perfezione cinematografica era la riduzione e l'abo– lizione della didascalia, così ora la parola deve ridursi a l l o

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