Pègaso - anno V - n. 2 - febbraio 1933
1 4 0 S. Benco sole pontifìcio, i n carica a Trieste nel 1 8 3 0 ; ma cresciuto, edu– cato a Roma; combattente quarantottesco col Battaglione u n i – versitario romano, a Cornuda e a Vicenza, e p o i nei f a t t i d'arme della Repubblica Romana, dove c o n q u i s t ò i l grado d i capitano; d i là gettatosi a esilio avventuroso, mercatante, p r o – fessore, raccoglitore d i curiosità archeologiche nell'Africa me– diterranea; infine posatosi a Vienna, insegnante d i lettere e sviscerato generoso amico degli studenti i t a l i a n i delle province irredente. Ebbe Zamboni la ingrata sorte che, palleggiato tra Roma e Trieste, là considerato triestino, e q u i p i u t t o s t o u n fantastico innamorato della città che u n suo figlio, nessuno i n – fine s'interessasse m o l t o sul serio d i farne rifulgere i l grande valore. G l i nocque l'essersi serbato intransigente mazziniano, quando l'ora del M a z z i n i non era da lungo p i ù quella d e l l ' I t a – lia ricomposta a nazione; e a me diceva, ottuagenario, poco prima della sua morte: « I o divengo sempre p i ù r o s s o » , quando letterati i n berretto frigio s'incominciava a non vederne p i ù . G l i nocque anche l'aver r o t t o i r a p p o r t i d'amicizia, per la fac– cenda della monarchia, col Carducci e d i riflesso con la sua scuola, come non g l i fu d i vantaggio, a Trieste, i l presumere d i potersi contrapporre ad A t t i l i o Hortis, idolatrato dai c i t t a d i n i . Onestamente debbo dire che d i t u t t i i poeti finora men– z i o n a t i Z a m b o n i m i pare i l p i ù importante. Risfavillava u n poco i n l u i i l corrusco dell'epoca tra i l N k o l i n i e i l Guerrazzi nella quale era cresciuto, e possedeva egli i l segreto d i far girare alla luce certi diamanti della lingua u n poco al modo del T o m – maseo; inoltre, uomo d i veementi passioni, con onore cavalle– resco d i vecchio soldato e con entusiasmo d i cuore sempre giovane per la bellezza e idealità della donna, i n t u t t o che egli scrivesse si sentiva u n suo poetico modo d i intendere la v i t a . Era dan– tista m o l t o forte e conoscitore della storia fortissimo. Benché portato dalla sua vulcanica natura al frammentario, e sempre sfuggente i n digressioni, egli ebbe la forza d i concentrarsi i n talune vaste opere organiche. I l suo poema drammatico Roma nel Mille, scritto negli anni quando usavano, forse p i ù i n Ger– mania che da noi, queste grandi macchine storiche, ha pulsa– z i o n i e sbattimenti immaginosi negli endecasillabi adeguati alla passionatezza d'una visione concitata, ben degna dello studioso tenace che nel suo l i b r o Ezzelino, Dante e gli schiavi, i l l u m i – nava i l problema tanto poco esplorato della s c h i a v i t ù dome– stica medioevale. Temperamento i r t o d i s p i n o s i t à polemiche
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