Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
698 S. Rapisarda con voce terribile, cacciò urla di rabbia, si graffiò il petto con le sue proiprie unghie. Poi cercò la via del ritorno, la via della casa. Ma aveva perduto anche quella. E d'allora divenne un gatto randagio. La rogna s'impadronì presto di lui che non era abituato alla terribile vita dei vagabondi, e l'atroce solitudine lo inselvatichì e lo rese feroce. Le femmine non volevano ,saperne di lui, ma egli partecipava ugualmente alle riunioni notturne, per sfidare i rivali e sgozzarli a unghiate e zannate in mezzo al baccano. E sotto questo rapporto i maschi finirono coì piacergli ancor più delle femmine. Venne l'inverno, e con esso la fa.me , l'orrenda fame. Gli uccelli erano tutti migrati. Topi n on se ne vedevano più. Un'infinità di gatti sparuti, spaventosamente magri, con gli occhi accesi dalla follia, s'aggiravano dappertutto popolando la solitu– dine dei tetti con le loro ombre spettrali. Alle volte un gatto get– tava un miagolio di disperazione, uno di quei miagolii che tagliano i nervi nella schiena; e decine di gatti gli rispondevano in un coro assordante e infernale. Trombetta non dormiva quasi più. Aveva delle allucinazioni frequentissime, nelle quali vedeva la casa della sua giovinezza ed enormi a:iezzi dli carne .sanguinolenta vicini a scodelle colme di latte. Sentiva continuamente l'antico padrone chiamarlo, ed egli balzava qua e là dove gli pareva fosse risuonata la voce, ma non trovava mai nessuno. Sempre e dappertutto i tetti coperti di gelo, e la fame atroce che lo attanagliava e lo consumava. Un giorno entrò in un a,bbaino, lo percorse, arrivò a un can– celletto di ferro che dava su una scala di marmo. Passò tra una sbarra e l'altra del cancello e discese la, scala per due piani. Si fermò aidlascoltare. Una porta era socchiusa e ne uscivano, il suono di voci umane e un odore che lo fece sobbalzare : era il medesimo che aveva sentito nella sua giovinezza in casa del pa<lrone, un odore lievissimo di medicinali. Quell'odore gli richiamò alla me– moria, anche il topo che aveva mangiato nella primavera [)rece– dente e che non gli era piaciuto. Quella porta socchiusa lo attrasse, come una ·porta amica, come una vecchia conoscenza. Ed egli e:r;i.– trò senza timore. Un urlo di terrore accolse la sua comparsa. Solo un uomo rimase tranquillo, e si chinò curiosamente a guaDdarlo aggiusta,ndosi sul naso le grosse lenti che portava. Trombetta gli si avvicinò per riconoscerlo, ma non era il suo an– tico padrone. La nuova conoscenza .era un uomo robusto, alto, BibliotecaGino Bianco
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