Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
S. Rapisarda cli qualche cosa che egli aveva già sentito, ma che per ora non riconosceva, assolutamente. L'appetito lo fece spartano ed egli mangiò. Poi, con lo stomaco che non andava perfettamente bene, -si distese al sole e dimenticò di cercar la compagnia. Sognò l'anno della prima giovinezza e i mesi dell'infanzia. In quel tempo felice egli era un gatto per bene, un gatto d~ buona famiglia. Il suo proprietario era un giovane medico, le sue proprietarie erano la mamU].a e la sorellina di lui. Quanto amore in quel tempo, e quante carezze! Ed! era proiprio amore ciò che -egli aveva sentito per essi, come una fame insaziabile che lo spingeva continuamente a cercarli, che lo rendeva inquieto quando uno di essi si allontanava di casa, e lo faceva balzare più rapido dello spruvento <]uando udiva il noto passo e la nota scampanellata. Tutti erano buoni c-0n lui e avevano per lui un'infinità di carezze : ma l'amore più intenso e più pazzo egli lo aveva iper i1 padrone, ehe conosceva i giochi violenti retaggi della giovinezza, e che nei momenti di buon umore lo mandava a far mille· voli per aria per riacchiapparlo fulmineo prima che toccasse terra. Dalle sue mani, che pure erano mani sottili e magre di studioso, ema,nava la forza, la forza prepotente che è espressione della vita, e molte volte egli, Trombetta, si metteva con la pancina iper aria a chiedere loro, .agitando le zampette, carezze e carezze, cioè forza e gioia. La sua voluttà maggiore era di affondare in una di quelle elega,ntissime mani i ,suoi dentini aguzzi, e morderla dolcemente scuotendo la testa in tutti i sensi, senza lasciar presa :fino a quando il padrone ,con l'altra mano non gli allargava le fauci per staccarlo. In quegli istanti di suprema gioia egli insieme faceva le fusa e miagolava, in una tonalità molto bassa, sì da parere quasi un latrato dò. cane, come per un'ingordigia insaziabile di acqua ehe nr,n disseta. Eppure era un gatto, un comunissimo gatto nero, con gli occhi verdi, come ce ne sono a migliaia. Il padrone ridendo, qualche volta aveva detto : - Se fosse possibile questo in natura, si direbb<: che Trombetta abbia sangue di scimmia nelle vene. Poi che solo le scimmie sono così affettuose. E poi Trombetta sa1pevadistendere le dita delle zampe davanti € afferrare le cose proprio come le scimmie. -Ma tutto ciò solo in sogno, dormendo. Quand'era sveglio egli ricordava ben raramente. Quelle rare volte era come una specie di malessere, una nostalgia acuta delle carezze di all-0ra, e dei gio– chi. Poi che gli animali dimenticano la femmina e più facilmente ancora i figli: ma non sanno dimenticare l'uomo, il loro dio, co} .quale sono vissuti. La sua imagine si scolpisce nella loro memo- BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy