Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932

684 *** rono la soglia della porta e s'arrestarono. Fermo il corpo, le mani brancohwano nel vuoto. Sentii sulla bocca un sapore di capelli. Il soppalco gemeva sopra di me. A due passi il sonno pesante di Pagliari e l'insonnia attenta di Luisa, la prima luce sulla :fine– stra, 1€'prime ombre nella casa. Bcesi nel vicolo. Il fanale di'angolo era ancora acceso. Sulla, neve dura scintillavano :piccoli cristalli nati da un'ora. Era come il vicolo d'un villaggio .qualunque a mille verste da Pietrogra,dJo. S'ingolfava in esso un'aria tagliente che sapeva di -steppa e ch'e mi spingeva, a rientrare. M'allontanava invece quell'odore che· avrei ritrovato all'ultimo piano, di stufa spenta, di letti disfatti. L'ira contro me stesso finì per portarmi lontano : camminavo a, gran [)assi per tener vivo il sangue. Incontravo soldati e qualche carro e li seguivo perché il cigolio coprisse quel gemere del sop– pako sulla mia testa. Poi venne una rassegnazione come. quella degli assiderati. Mi sl"ntii prigioniero ·per sempre. Pagliari, Iva.n, la fame, Gioconda. Perciò tornai lentamente e ripresi la mia vita senza discutere più, cercando di saziarmi per non pensare. Gioconda mi cercava, la, mano sotto la tavola. Vedevo Gioconda gra,devole e necessaria come il cibo, ma ritraevo la mano. Le si velavano gli occhi e allora mi mettevo a, ridere forte dello stesso riso di Pagliari. Se mi fossi guardato alìo specchio, avrei trovato sulle mie guancie le fossette di lui. Gioconda mi copriva d'attenzioni. ,Si mise a fabbricarmi un maglione di lana verde e m'aspettava ogni sera. Era divenuta si– lenziosa_e mansueta. Pagliari e Luisa s'erano come isolati da me. Lei badava alla casa, dalla mattina alla sera, infaticabile. Lui s'accaniva in quella sria vita ambigua e disperata; nei giorni buoni m'era intorno con OC('.hiattenti e fedeli a ripetermi la sua gratitudine. Io rispon– devo: - Pagliari, cosa mai potrò fare per te? Era tardi. Ivan, morto d'i stanchezza, s'era già coricato quando la porta fu percossa, a sc-hiantarla. Mi trovai di fronte quattro soldati laceri che s'appoggiavano alla canna dei fucili. Uno la– crimava da un occhio pesto. Chiamavano : - Zerkin ! - Urlavano come impazziti : - Tavarisch ! La tua ora è venuta. Il più alt.o spiegò sotto il lume un foglio con un timbro violetto .. Il silenzio pesante della casa respingeva quelle voci alte. Allora~ di forza, fecero un balzo in avanti, urta.rono il tavolino, cadde qualcosa che rotolò con un suono metallico : s'ingolfarono nel corridoio. Un grido acuto· di Gioconda. Li raggiunsi nell'ultima stanza: fummo un groviglio sbattuto . sul pavimento. Allora Ivan saltò giù dal soppalco urlando: - Ca- BibliotecaGino Bianco

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