Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
Pagliari Augusto, mio amico 683 duca Paolo. ,Sulla tavola v'erano profumi e cosmetici, ,sul canapè camicie e vesti di seta. Quando la mattina s'alzò non vide che una :fila d'alberi nella nebbia. Parlò rudi essi come avrebbe parlato alla folla. Le sue parole attraversarono il !Parco, ansimarono nelle piazze. La folla le risali, arrivò sotto le sue :finestre, si ammassò nel largo dinanzi alla villa, ribollente come catrame : non lo ab– bandonò più. Eppure Lenin non può soffrire l'odore del sangue. Che farebbe senza di noi ? Quando un branco di marinai ubriachi prese d'assalto la mia <',a:sae non volle più. uscirne, chiesi a Ivan di farli gettar nella strada. 1 ~fi rispose ridendo : - Chi credete ch'io sia ? E chi siete voi ? Chi di noi è lihero ? I marinai hanno fatto la rivoluzione. Che im– porta se oggi s'ubriacano, rubano, uccidono? Saranno travolti an– che loro. L'Europa che si dibatte ancora in una guerra più tragica di cento rivoluzioni, s'impressiona della iparola rivoluzione, e vuol dimeutkarne il significato : anche la, Francia. Peggio per voi. - Stringeva i pugni, Ma nel discorso a me pareva di sentire attraverso la tracotanza un suo malessere: forse il timore di perder terreno, di essere anche lui sbattuto lontano come un rifiuto, oggi o domani. Doveva essere preoccupato perché si mise a, bere. Beveva e diveniva triste. Guar– dava dinanzi a sé assorto come vedes:;;e attraverso la parete. La sua terra nera senza confini, un tremolio di betulle, l'andare si– lenzioso del Volga verso, il sole. E gli s~affilava il viso. La pelurie bionda con cui la barba gli s'attaccava agli zigomi luccicava come oro. Somigliava al Cristo deriso d'Oberammergau. Pagliari riteneva che ormai non ci fosse più un albergo sicuro. Voleva che andassi ad abitare da lui e io rifiutavo debolmente, 1Per convenienza. Si portò via le mie cose, mi preparò una branda, die– tro un paravento nella stanzetta dl'ingresso. La mattina, rientrando, prima di togliersi la pelliccia umida, accese il fornello e volle scaJdarmi il caffè. Si ,sedette accanto a me. A quell'ora parlava pacato senza ridere. La sua voce galleggiava sul mio sonno. Lo sentivo dire confusamente e mi pareva di rico– noscere la mia voce in un sogno : - Gioconda è una bella ragazza e ti vuol bene. Che aspetti? Appena sveglio, quelle !Parole di Pagliari mi tremavano nitide nel cervello. Credevo di sentire il fruscio delle vesti di Gioconda che si vestiva al buio. Poi sentivo il suo resipiro spezzato. Forse s'ag– ganciava la gonna. (Mi alzai. Nell'oscurità le pupille si dilatavano sino a farmi male. Al limite del corridoio i miei piedi nudi senti- BibliotecaGino Bianco
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