Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
682 *** luceva d'unto. Dopo, s'allungava sul pavimento accanto alla stufa, le mani incrociate dietro la testa, e cantava. Mi abituavo a poco a poco alla sua iprepotenza. Lui e Gioconda erano i veri padroni. Adesso ritrovavo in Pagliari l'uomo abituato a servire, il passo li.scio, il ricciolo a metà della fronte, anche quel sorriso sempre uguale per ogni domanda, per ogni rifiuto. Nello svegliarmi all'improvviso rivedo la mia stanza enorme con la sorpresa del primo giorno. Entra il portinaio e, dietro, Pa– gliari. Ha i capelli sugli occhi e il viso in fiamme. Penso a una, disgrazia. Si siede in fondo al mio letto, mi schiaccia un piede con tutto il suo peso. Con ira gli dico d'alzarsi. - Scusami, - balbetta. Tira fuori dalle tasche 1pacchi di ban– conote, le sventagìia, le fa piovere a una a una sulla coperta. Dieci, quindici, ventidue. - Son venuto a renderle il ,suo danaro : ora si parte. Non vi– vevo più dal pensiero che lei sospettasse di me, che m'avesse tolto la, sua amicizia. Ma quella sera se lei non mi aiutava, era la fine. Ora, si parte. , Agguanta la brocca del lavandino e ne beve sorsate lunghe. Lo ved'o raccattare a uno a uno i suoi biglietti da mille. Ha ru– bato? Ha vinto? Ha barato anche lui? Pagliari mi sta dinanzi così timoroso e felice, così giovane ch'io gli dico con affetto : - Va a dormire, Pagliari, devi essere stanco. Pagliari si occupa di nuovo della cucina, dosa i condimenti, rientra sempre con provviste rare .. Luisa torna a sorridere e si guarda il suo uomo e lo ringrazia ogni giorno di quel grosso anello che sta così male sulla sua mano nodosa. Iva,n scompare come se quel ritorno di calma lo infastidisse. Ma ritorna alle prime lacrime di Luisa. E allora, sparisce Pagliari. J<} un caso che s'incontrino. Una volta sola li ho trovati a ta– vola sediuti l'uno di fronte all'altro, le donne erano nel vano della :finestra. Ivan parlava, Pagliari :fingeva d'esser distratto, gioche– rellava con la forchetta. Poi se ne andò e di sulla porta guardava fisso Ivan con gli occhi invetrati dall'odio, Ivan s'è alzato e continua a parlare. Si liscia la barba: - Un giorno Lenin disse ch'io somiglio a Garibaldi. Forse scherzava : nessuno sa leggere dietro quella sua fronte di pietra, liscia e im– mensa: è il cerv~llo del mond'o. Sono nato a, Saratoff, ma a di– ciott'anni fac evo il m eccanico a Zurigo. Lo incontrai lì. Quando s'ammalò, gli porta.vo ogni sera un bicchiere di latte. Nella febbre urlava allora gli stessi discorsi con cui oggi impasta le folle. Pochi avevano fede in lui. Arrivò qui in un vagone piombato; tremante, sfinito lo misero nel letto della Oesinscaja, la mantenuta del Gran- BibliotecaGino Bianco
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