Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
PagUari Augusto, mio amico 677 terzo ripiano e due donne s'affacciarono a salutare. Una chiese: - È il medico ? Continuammo a salire, All'ultimo 1Piano una porta cedette si– lenziosa, ci lasciò entrare in una stanzetta lunga e stretta e ci sedemmo. Per non guardare intorno guardavo Pagliari, osservavo il ricciolo nero che gli cad'eva sulla fronte. Egli si sentiva a disagio. Avrei voluto ridiscender le scale. 1Ma la stanzetta s'empì di un -odor di cucina grasso e inebriante e una donna apparve e s'appog– giò con le due mani a una seggiola, e ci guardava con occhi sbiaditi. Allora Pagliari si mosse verso di lei, la baciò sulla fronte e disse rivolto a me : - È Luisa. - E poi disse a Lul.sa : - Ti ho condotto un ospite di riguardo, darai da mangiare anche a lui. Mi parve di dimenticar tutto. Guard'avo attraverso la finestra, e i vetri d'improvviso s'appannarono. Ero solo, estraneo, in quella stanzetta povera. Non sentivo che quell'odore grasso inebriante. - Qui siamo in Italia, - dissi. Allora Luisa cominciò a par– lare con accento straniero a frasi fitte e-io l'ascoltavo intento, ma .senza com[)rendere, come un tempo nella mia vecchia cucina ascol– tavo il borbottar del paiolo. Anche a tavola non riuscivo ad afferrar le parole. Mangiavo in fretta, avido, e il cuore mi batteva alle tempie e mi ronzavano le -orecchie. Poi afferrai il bicchiere e bevvi d'un fiato. Puntai le mani sulla tavola [)er riposarmi. Pagliari rid~va, Luisa parlava fitto ,con accento ·straniero, sentivo in me un- rumore fresco come d'acqua -che scorre. Venivano in tavola altri piatti odorosi di spezie. Non potevo mangiare più. Avevo un nodo alla gola, come un nodo di pianto. Pagliari diceva: - Sempre così quando s'è di– giunato. - Non potevo riS[)ondere, guardavo fuori della finestra, lo sguardo entrava nella finestra vuota di fronte, batteva con dolore contro un muro rosso avvampato di nero. Pagliari s'era alzato a raccogliere le stoviglie e le po.sate con gesti precisi, senza guardare. Luisa aveva avvicinato la sua sedia alla mia. - Scuserà, - di– ,ceva, - scuserà. Non aspettavamo nessuno. Ho incontrato Pa– gliari a Londra quando era al Savoy. Mio padre che è orologiaro a Montreux, mi aveva mandato a Londra per imparare la lingua. Siamo insieme da dieci anni. Non ci siamo sposati per paura che la miseria ci dividesse da un momento all'altro. Abbiamo sofferto, ·- ma Pagliari ha tanto coraggio. Guardavo Luba. Gli occhi erano azzurri sbiaditi. La pelle s'era già spezzata come ca.rta consunta nelle !Pieghe del riso e del pianto. A seconda della luce che batteva sul suo viso immobile, mi pareva allegra o disperata. Era piccola e magra, le mani grandi sformate dalla fatica. BibliotecaGino Bianco
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