Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932

676 *** stra: il bavero e il berretto di lontra luccicaiano come quelli di un signore. Sul registro era scritto : << Pagliari Augusto, second'o cameriere all'Albergo dl'Europa )). Una sera che andai in quell'albergo a man– giare il solito boccone di pesce congelato e due patate livide, lo cercai invano. Chiesi di lui e mi dissero: - Ha lasciato da due mesi il servizio, ora è ricco. - Cosi, quando lo incontrai, seppi come parlargli. Pagliari rideva spiegandomi che in tempi difficili bisogna cer– car nuove strade. Per lui la, rivoluzione era soltanto una situazione nuova dia cui trarre profitto. - Sa, all'albergo non si guadagnava più e poi il lavoro era gravoso e si tornava a casa coi piedi gonfi. A mezzogiorno e la sera ci davano tre cucchiai di minestra rancida, niente pane. Per tenermi in ipiedi tiravo giù sorsate di vodka dalle bottiglie dei clienti. Oggi ho trovato un altro lavoro, duro anch'esso ma che rende, e non so più che cosa sia la fame. Lei no ? Pagliari era grasso e sanguigno. Stava per lasciarmi e mi sentii divenir pallido e gli dissi : - Vengo con voi. Smise di ridere: - Lei non mi conosce e poi bo con me una donna e la mia casa puzza di miseria. - Lo seguii senza rispondere. Mi camminava un po' innanzi col passo liscio dei camerieri,' si fermava ogni tanto e batteva il tacco sulla neve per calcar meglio le soprascarpe di feltro orlate di velluto. Era diventato timido: iò volevo rompere il silenzio ma tutte le frasi che mi venivano alle lab– bra mi sembravano inutili. Fu lui a fermarsi netto sul iponte della l\foika e a dlirmi: - Sa, non è proprio possibile. Non posso dirle tutto. Sono un cameriere, lo ,sa? --:--Voleva ridere e non poteva, come se il freddo gli avesse paralizzato la faccia. Il parapetto òi ferro del ponte •si stampava s ul bianco del ca– nale. Volevo dire scherzando: - Scusi, - e dissi inve.ce adirato: - Certi giorni quando s'è troppo stanchi e fa fr eddo no n si può digiunare. - E me ne andavo, ma Pagliari :mi trattenne iper la manica, mi guardò a lungo come non comprendesse. Rifletteva, e poi disse: - Abito a un quarto d'ora da qui, in una strada senza nome, venga, con me, ché da solo non'la ritroverebbe mai. Camminavo .svelto accanto a Pagliari, guardavo le facciate d'elle case e ripetevo a ogni angolo: « di qui non sono passato mai)). Case macchia-te, lebbrose, finestre piccole coi vetri sporchi e non vi era traccia di vita. - Quella casa, - diceva Pagliari, - s'incendiò due mesi fa e dal calore i vetri delle mie stanze scoppiarono. Abito di fronte. Le mie finestre pare continuino in quelle finestre vuote. Il vicolo è tanto stretto che sembra di guardar con gli occhiali. La scala era umida e oscura. Si scivolava salendo. Prese luce di colpo da due porte che s'aprirono l'una di fronte all'altra al Bil;>lioteca Gino Bianco

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