Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
Pagliari Augusto, mio amico 675 Una voce chiama : - Pagliari Augusto. Mi accorgo adesso soltanto che un uomo volge il viso alla stufa. Vedo un dorso pieno che si scuote al suonar della voce. Poi vedo una faccia rotonda infocata e due fossette ridere sulle guancie. Può essere un cantante di caffè concerto. I miei occhi osservano attentamente Pagliari. Penso come tutti .gli altri: « È grasso, come mai? Perché ride?)). Intorno al viso gli gira il pensiero dli tutti, ostile, curioso : lo scaccia col dorso della mano. La voce riprende : - Pagliari, partirete col primo scaglione. Più volte, rincasando, mi tornava in mente quel nome. Una sera in cui mi sentii povero e andavo incerto lungo i muri e cercavo una casa che non fosse la mia, sentii il pensiero ff.'lrmarsi sul riso di Pagliari. Vedevo in lui la salute e la gioia. Mi consumava una invidia so~da di lui, poi mi prese il desiderio di ritrovarlo. Invece, si spegneva in me il desid'erio della donna che m'attendeva perché ero incapace di -sopportare le sue domand'e curiose. Sentivo le gi– nocchia mancarmi e le mani rattrappirsi nei guanti. Sedermi sulla gradinata del Teatro e aspettar lì che il freddo incruòisse, mi pareva il solo riposo. Eppure continuavo ad andare e seguivo pensieri diritti come le stra,de, nella .speranza dì trovare in fondo ad essi una conso– lazione simile al sonno. ,Ma gli occhi mi si vuotavano e i pensieri si spezzavano a uno a uno con un suono di vetro: Allora compresi che non potevo lottar più con la fame. Arrotolarsi in una coperta vicino alla stufa. Stringere i <lenti e incrociare strette le braccia. Che in qualche ripostiglio dimenticato ci sia ancorai un biscotto? Fumare. Ma il tabaeco mi dà il capogiro. 'Meglio cercare nella memoria una canzone lunga monotona. Come comincia la seconda strofa ? La fame è nemica del sonno. Vorrei regolare il battito del mio cuore su quello del grande orologio instancabile. Si fermeranno insieme ? A che ora ? Penso al respiro tranquillo di Pagliari. Vo– glio ritrovarlo domani. Mastico questa parola a lungo come pane stantio. Andai aidl aspettarlo al Consolato. Mi salutò cordiale e timoroso. Volevo incoraggiarlo e gli dissi: - Forse partiremo insieme. - Allora rise con un po' d'insolenza : - Lei ci crede ? Tra quindici giorni non si uscirà più dalla Russia. Nella risposta ch'era il mio stesso pensiero, non vidi che un pretesto per interrogarlo ancora, per rimanere con lui. E gli re- plicai : - Cosa mai potete saperne ? . . Egli mi chiese !Perdono, svoltò subito nella prima strada a de- BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy