Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
U. NEBBIA, Arte navale italiana 751 Molte delle opere che qui vediamo raccolte erano già note e criti– camente riviste ed accettate come buona documentazione nell' archeo– logia navale; ,ma qualche cosa inedita il libro ce la fa conoscere e questo è un bel merito del Nebbia ed un bel premio alla sua costanza di paziente ricercatore. Bisogna anche aggiungere, ad onor del vero che un più attento spi– rito critico, corroborato forse da una più pr~dente preparazione per certe cose, avrebbe giovato all'autore e non gli avrebbe fatto lasciare qualche pecca nella sua opera che pure ha segni di amorose cure. Così, ad ,esempio, il quadro riprodotto a pagina 108 vien definito, un po' grosso modo e a scanso di responsabilità, come composto con « elementi navali di maniera», mentre invece è opera da rifiutar nettamente fra i documenti del genere, ché subito si vede come sia stato dipinto su vaghi ricordi, senza alcuna fedeltà, e addirittura con assurdi nautici, come sarebbero le due vele latine, invece dei trevi, al trinchetto e alla maestra ,di una nave armata a vele quadre. E così nell'assegnare, pur con un prudente interrogativo, al se– colo XVI il modellino di galera che è nel tempio malatestiano a Rimini, l'autore non ha forse tenuto presente che galere sim~li, e con quelle caratteristiche di alberatura, non ve n'erano al secolo XVI nemmeno fra le grosse basta,rde generalizie. Quella di Rimini potrà essere col– locata, tutt'al più, nella seconda metà del secolo XVII, come del resto si vede dal confronto con la. figura 96 che le ,sta di contro. Spostamenti di data che potranno .parere di una importanza, piuttosto relativa, ma che hanno· invece molto valore in questo campo in cui si può giungere a precisazioni solo attraverso confronti con pezzi sicuramente datati o con ricerche fra le carte d'archivio. Con la pazienza si finisce col trovare e si acquista, poi ben altra si– curezza nella trattazione. Qualcuna di queste indagini è stata omessa dal Nebbia e tipico mi par il caso della prora e della poppa di una fre– gata veneziana (,figure 215-216) che l' Autor,e dice del « Leone incoro– nato>> del 1691, mentre si tratta di quella della « Bellona >>varata nel 17'88 e posteriore cioè di quasi un secolo all'attribuzione fatta dal Nebbia. È bensì vero che questi ha riportato quanto è scritto in un vecchio inv•entario del Museo dell'Arsenale, ma si sa bene quale fiducia si pJlò prestare a simili documenti, compilati da orecchia,nti, e par strano poi che un critico d'arte non sia stato almeno insospettito dai motivi ornamentali che vi sono chiarissimi e non possono essere attri– buiti al ,Seicento. Un marinaio, d'altra parte, osservando sull'alto della poppa l'arco del boma, avrebbe escluso, comunque, una datazione an– teriore alla seconda metà del settecento, ché solo verso il 1770 si co– minciò ad adoperare il boma alla randa e le poppe dei vascelli ebbero la nuova struttura. Simile fede cieca negli inventari ha portato il Nebbia in errori di altra indole: ha definito come corvetta il modello del « Colorno >>ora a Parma (figura 213) e non ha esitato a dare simile attributo ad una nave armata a vele auriche mentre la corvetta è sempre stata armata alla quadra. Il « Colorno », invece, è il modello di uno sciabecco co– struito in Francia e del tutto simile a quello che l'autore ba pubbli- BibliotecaGino Bianco
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