Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932

A. F. DONI, Le più belle pagine 747 irregolari del 500. - Dove domine cavate voi sì pazze invenzioni ? - -ehiedevano al Doni. E ·lui di rimando: - Peggio è crederle. Io sto talvolta in una certa materia fissa, che è spezie d'umor malinconico e ·formo mondi e si grandi, e sì gran cose, che io ho paura di loro e mi ;on tastato il capo dieci volte s'egli era intero, o se pure gli era crepato per mezzo. - Dagli almanacchi siamo tornati così ancora all' uomo e :alla vita. Il Doni più propriamente morale o moralista sarà da cercare in una controcritica minuta e anedottica ch'egli, quasi senza saperlo, venne facendo alla critica del Rinascimento. Gran cosa. il Rinasci– mento, ma intorno al grande albero che fioritura di funghi e di paras– ·siti ! Ed ecco li il Doni a strapparli. La religione del passato che di– venta stupida idolatria, l' autorità dei classici invocata dai moderni -per nascondere il loro nulla, l'archeologia che già soffoca l'arte, le cita– zioni che già affogano i testi, i cisalpini gli allobroghi che già s'inte– stano a voler scriver toscano .... E quello scriver nobile e velato, quel latineggiare non è una mezza disonestà ? « Io trovo che tutti i galau– tuomini hanno chiamato la gatta gatta». E quanti ciarlatani per uno :Scienziato vero, quanti petrarchisti per un solo Petrarca! Grande in– venzione quella della stampa, ma ahimè quanti editori somari! La cri– tica sarà la nuova gloria del secolo, ma tra il sì e il no quanti critici -che già se ne stanno « a mezzo aere » ! E cosi via .... È il naturale giudizio del toscano di popolo (a sentir lui, il Doni discendeva da Papa Dono, ma era •figlio di un rigattiere e forbiciaio), è il buon senso della gente media che per la bocca del Doni dice la sua sulla maiuscola Scienza d'allora. E se il Doni da un lato (il lato suo -peggiore) sta tra i santi padri di quell'accademia becer;:i,fiorentina che non finirà mai, dall'altro e nei momenti suoi più vivi, mise, e fosse anche so\o per .accenni, alcune premesse di quella che due secoli dopo ,sarà la éritica più umana che umanistica del Gozzi, del Baretti, del Pecchio .... Resta tuttavia vero che, parlando del Doni, si è piuttosto attratti -a deooriverlo, a figurarne l'umore che a fissarne propriamente l'arte. Non è facile trovare un punto fermo tra tanto moto e anche sconquasso di idee, di figure o soltanto di parole. Oppure conviene tornare per lui all'uso vecchio, e isolare nella con– gerie dell'opera sua proprio quelle favolette, quegli apologhi, quelle ar– guzie ch'egli vi lasciò cadere come per incidenza e che noi già incon– trammo nei libri di scuola. In quei quadretti, la realtà stessa della cosa, il fatto da narrare, il limite netto, lo tenne buono, gli vietò d'invadere. E- quello sembra un altro Doni. Anche il Carducci (che a scegliere un classico non si sbagliò mai), si fermò lì. E quello è il Doni che piacque tanto a Ferdinando Martini quando si mise in .cerca, per ogni secolo -della letteratura, di prosa 1,'iva : « .... scioltezza e gaiezza .... sì che leg– gendo ti par d'ascoltare. E per il sapore di certe arguzie delicate, delle quali egli largheggia, non si direbbe uno scrittore italiano del secolo decimosesto, ma un francese del decimottavo>>. (Che per il Martini era quasi dir tutto). PIETRO PANCRAZI. BibliotecaGino Bianco

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