Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
736 IJ. Bulferetti Atroce è quest'il-onia su le sante mani dell'arcivescovo giustiziere. Ma le edizioni castigate vi sostituivano sciapa stoppa, così: che sia trattato di questi due cani ell ogni cosa passi per t-tte mani. Se a non poche ottave, e magari a interi canti, s'attagliano le osservazioni già cla molti fatte, e spesso con finezza, sopra le lepidezze e le arguzie, le caricature e i grotteschi, e tante altre forme del riso di Luigi Pulci, e sopra le relazioni del nostro poeta coi 'Jantastorie di piazza e con altri verseggiatori più o meno contemporanei, e sopra la sua paesanità, ,fiorentinità, festività, varietà e simili qualità distin– tive; a comprendere però pienamente l'arte e la poesia del Mor– gante, giova rallargare l'intento; e vedere, per esempio, come si pro– fila in esso, di là delle due parti esistenti, una specie di trilogia iclealei, il cui momento primo è formato, per divertire anime piuttosto sem– plici, di giuochi e scherzi verbali su nota materia popolaresca, dove il poeta lascia « forse troppo andar la mazza», un po' come fa Morgante col battaglio (XXVIII, 142) ; e invece nel momento secondo raffrena la foga delle maniere dialettali, proverbiali e metaforiche, e, quasi am– mi0cando a ingegni scaltriti, mescola all'epica eroiç,a (XXIVJ la tra– gedia e la commedia (XXVII, 1 e 2) e spunti d'autocritica e sfoghi per– sonali, direi più da lombardo che da toscano ( cc Sono fatto lombardo da un tempo in qua .... », Lettere, p. 163) e pers.ino raffinatezze cli cul– tura letteraria (XXV, 283) e teologica (ivi, 136 e passim); e nel terzo ha un a0cento, che non è più solo :hé fiorentino né lombardo, e che volentieri chiamerei veneziano, se la Venezia dell'ultimo Quattrocento avesse avuto, per fortuna sua e dell'Italia, la visione oceanica del gran · vecchio Rinaldo, che il Pulci s'apprestava a cantare, quando la morte lo rapì di appena cinquantadue anni. E giova riesaminare gli elementi e gli spiriti del poema, da quelli popolani e borghesi, come l'abbondare delle tenerezze di famiglia (I, 78; III, 22 e 30; VI, 5; VII, 8) e delle dolcezze di salda amicizia (sipes– seggiano le coppie d'amici: Orlando e Morgante, Morgante e Mar– gutte, Rinaldo e Fuligatto), a quelli che non mi perito· di nominar cavallereschi, se è vero che nei fondachi, nelle logge e negli orti della Firenze quattrocentesca fioriva una cavalleria più gentile di quella dei signori e re e imperatori spiantati di Francia e Germania, derisi a ragione dai nostri Pitti e Morelli. Tanto vive nel Morgante quella Firenze, che Gano vi è detto ser Tuttesalle e ser Benlesà, e un gigante venuto a Parigi con Antea porta il nome d'un odiato esattore fiorentino, Fallalbacchio (che fa le cose a vanvera) ; e scendon dritti dall'esperienza cotidiana cli messer Luigi i dialoghetti spediti e su– gosi, i discorsi « diplomatici », il folto carteggiare dei paladini e dei pagani, tutti politiconi a somiglianza dei condottieri d'Italia, le risse i duelli le battaglie descritte con varietà e novità realistiche, le allu– sioni a Lucrezia, a Lorenzo, al piovano Arlotto e a più altre persone del tempo, il sorriso e il sospiro sui beffardi scherzi della fortuna (« ma la fortuna attenta sta nascosa - per guastar sempre ciascun nostro BibliotecaGino Bianco
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