Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932
l l centenario di Lidgi Pulci 733 la impresa di Sarzana, ché « il nimico non dorme», e soggiunge a cuor largo: « Certo questa impresa si stima tanto di qua che mi con– fotto chiarirmi a questa volta, sioché non siamo sempr~ in preda in mare e in terra. Poi mi parrebbe la guerra finita con onore nostro e ogni cosa bene speso: questo basti. Io non t'ò a dite altro, se non che il •Signore (intendi Roberto Sanseverino) e figliuoli sono te medesimo. A me faranno bene assai. È qui Messer Piero Vespucci e viene a Vi– negia; e ancora lui harà bene. ,Sicché il nostro Illustrissimo Signor Ro– berto ·è in tutto magno, e •d'ognuno si ricorda. Racomandomi a te». Sono le parole d'un uomo finalmente soddisfatto, dopo decennii di traversie e di pene, nella protezione di due potenti famiglie e di due grandi uomini, de' quali ha ,fiducia d'interpretare i concordi pensieri e disegni politici. Probabilmente però interpretava soltanto quelli del suo Lorenzo, che sinceramente mirava alla pace per il meglio di tutta Italia, come ora viene dimostrando coi documenti alla mano il Palma– roccb.i. Invece i ,Sanseverino e i veneziani vedevano nelle guerre occa– sioni, di guadagno i primi, di dominio i secondi. Forse messer Luigi se n'avvide, e tanto s'afflisse che morì prima d'arrivare a Venezia. Certo scomparve tra l'ottobre e il novembre 1484 in Padova; e certo ci fu qualche cosa d'oscuro intorno alla sua fine, perché ne tacciono i con– temporanei, e solo il cronista padovano Bernardino Scardeone rac– conta che fu sepolto in luogo sconsacrato e senza le consuete forme religiose. Ciò sarà stato unicamente a (·agione de' suoi scritti giudicati poco ortodossi, « ab scripta prophana », o non anche per ragioni po– litiche? Precipitò dal colmo della felicità in una serie impressionante di di– sgr_azie postume: -clelsuo nome fecero subito strazio quelli ch'erano stati punti dai suoi sinceri e mordaci sonetti, come l'ambizioso cattedra– tico Bartolommeo Scala e il solenne accademico Marsilio Ficino ; i piagnoni gettarono .sul rogo delle vanità quante copie trovarono de' suoi scritti e massime del Morgante; i pessimi editori della decadenza attribuirono al fratellò Luca e ad altri una parte de' suoi versi, e li rassettarono tutti a piacimento della Sacra Inquisizione e con licenza de' Signori ,Superiori; i letterati li considerarono non altro che una miniera di vocaboli e modi e ricchezze di lingua, da che al Machia– velli era piaciuto d'usare il Morgante come pietra di paragone del parlar fiorentino; e nemmeno i tempi nuovi, tra tante rivendicazioni e ricostruzioni storiche e critiche, hanno rimesso in giusta e piena luce la figura dell'uomo e il carattere della sua poesia. A ciò s'oppongono la scarsezza delle testimonianze e la non ancora compiuta edizione critica delle opere. Che se almeno sul Morgante qual– cosa di buono s'·è fatto, ciò non basta ad impedire i grossolani franten– dimenti di Nicola Zingarelli, di Umberto Biscottini e di altri, che hanno scritto per il presente centenario. Lo Zingarelli (La composizione del Morgante, nei Rendiconti del Reale Istitiito Lombardo di Scienze e Lettere, vol. LXV, fase. XI-XV, 1932) inventa un'assurda <:! anacronistica storia della composizione del poema, che sarebbe sorto di getto e con perfetta unità, quando dall' Au– din, dal Rajna, dal Volpi, dal Patetta, dal Pellegrini e dal Carrara si sa BibliotecaGino Bianco
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