Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
584 C. Alvaro di noi mi riportarono alla memoria altri convegni e altre sere che rimpiangevo con un cocente e improvviso desiderio. Questa era la donna per la quale avevo sofferto tanto, II)er cui non avevo quasi dormito, per cui ero andato vagabondando. Pensavo a questo e man– giavo avidamente un'arancia, come uno che segua la traccia di ricordo. - Come sono curiosi gl'italiani, - ella disse mentre mi osservava. - Quand 1 0 mangiano la frutta hanno un modo naturale e crudele, come se fossero parenti della natura. Questo fatto è tutto un mondo, una vita, un costume. - Io cred'etti che avesse co– minciato un nuovo gioco, e levai gli occhi. Incontrai i suoi lucidi e come febbricitanti, mi apparve tutta un'altra donna. \ IX. La serata s'inacidì come quel vino delicato della Mosella nelle ultime goccie nel bicchiere. Io m'ero dimenticato che fosse la fine dell'anno e che quella notte bisognava vegliare e divertirsi fra amici. Ella me lo partecipò quasi cercando di cancellare le cose che ci eravamo d'ette, crudelmente dette come fra ragazzi che si fanno del male con discorsi di cui arrossiranno un giorno. Io mi ricordai come avevo passato quella notte negli ultimi anni; ma ebbi l'im– pressione che questa fine d'anno la passassi in un viaggio dii esplo– razione. Ci trovammo ambedue come davanti a un impegno, e la nostra solidarietà doveva durare almeno :finoa che l'anno nuovo non avesse fatto il suo ingresso. Cercai di sottrarmi a questo dovere, a questa convenzione che mi II)areva ridicola. Ma ella si oppo'se. Aveva smesso di nevicare, come se cielo e terra facessero un silenzio religioso per sentir II)assare le ultime ore dell'anno e i voti del nuovo. Eravamo invitati in casa d'amici e non potevamo mancare, poiché quella notte un luogo di convegno era al sommo di tutti i pensieri. Ma, prima, con gli stessi amici, saremmo andati a teatro. Si rap– presentava una vecchia operetta tradizionale. Non importava che ripetesse all'infinito le situazioni di tutte le operette. Era quasi un - rito, di abbàndonarsi alle più facili risate. Lo stesso pubblico che negli altri giorni dell'anno è così e8igente, quella sera, rivedeva certi vecchi comici come un fanciullo, i vecchi comici dì cui ogni anno questa era una riesumazione e una festa, come di certi giocattoli. Il pubblico faceva ripetere alcune scene, vi rideva ancor più preso da una convulsione contagiosa, faceva interminabili ovazioni. Ri– dere era quasi un dovere, la stessa ondata di risate finiva a formare un eccitamento al riso, le parole a mala pena arrivavano fino a noi, e ba~tava veder delinearsi un gesto perché prorompesse da tutte le parti _quellailarità. Alla luce degli intervalli era il sospetto di aver compmto qualcosa di II)Uerile,tutti si ricomponevano; questo assu- BibliotecaGino Bianco
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