Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932

Autunno sul Brenta 581 Perché questa par veramente l'ultima stanza d'autunno.: del mio dolce antico autunno, risorto per brev'ora dalle ceneri della memoria, col suo volto commovente di malato inguaribile ... Due filari d'i marrondindia rossobruni mi conducono a un can– cello spalancato, di là dal quale s'intravede uno siplendore bianco di scalee e di colonnati,. tra fumose masse d'alberi. · Come mi scorge, una bimbetta che giocava con le castagne ca– dute al suolo, si ritira di corsa nel villino minuscolo del portinaio; ma sùbito riappare su la soglia tenendo per mano la sua mamma. - Lei è fortunato che la principessa è fuori. Faccia pure un giro. Dietro alla donna e alla bimba, pallide, vestite di scuro, che sorridono uno stesso sorriso mesto, non distinguo che il rosso ba– gliore d'un focolare entro la stanza tenebrosa. E anche questo è l'autunno di un tempo : quando, alla fine delle vacanze, m'aggiravo per le strade ipiù abbandonate del mio paese, tanto simile a questo, e vedevo, sul far della sera, accend'ersi nelle povere case buie i fuo– chi di fascine, e tra lo scoppiettio dei sarmenti verdi udivo, di lontano, gii urli d'agonia del maiale, accoltellatç in mezzo ai campi caliginosi. Ora m'addentro per un vialetto di carpini altissimi che fa cor– nice al prato, steso come un tappeto rettangolare ai piedi del pa– lazzo. In basso l'aria è greve d?umidità e d'ombra, ma su, tra il ricamo dei rametti leggeri, il cielo svapora chiaro, quasi incolore, attorno alle deboli postille d'una luna di perla. Questa pacata tri– stezza ,d'eigrandi alberi muti, .e quel vuoto infinito dell'aria serena, e il riso strano dei gigli rossi in mezzo al prato spento, e il candore livid'o dei marmi e il luccichio cupo delle vetrate che rinserrano in– violabili segreti d'amore e di morte: riconosco le cose d'allora, nella luce d'allora. E sento ricadermi stancamente sul cuore quel peso d'attesa che portai dentro di me faticosamente iper tutto il tempo della giovinezza.... · Attesa di che, di ohi? Forse non d'altro che d'una parola in cui suoni e si liberi la straziata felicità del nostro vivere mortale, · d'el nostro ebbro passa,ggio su questa terra, mortaJe anch'essa. La parola è nell'aria, nella luce, in ogni foglia, in ogni fiore d'autunno; ma il cuore non può afferrarla e farla sua, né· può trarla dal suo profondo, perché chi sa di dover morire non può pen– sare la morte. - Ha visto bene ? Fortunato ~he nou e' era la p.rincipessa .... La buona donna e la sua bimba m'aspettano al cancello, col loro sorriso mesto: sorrido anch'io, e me ne vad'o, con la mia straor– dinaria fortuna. DIEGO V ALE~I. BibliotecaGino Bianco

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